I Las Flores Molestas propongono un’atmosfera di una grande festa balcanica. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Abbiamo incontrato i Las Flores Molestas, band di Vicenza capitanata da Federico Ficarra, che ha di recente pubblicato un nuovo album dal titolo Pissin’ Around.
Ciao Federico, ci stupisce molto questa vostra capacità di parlare di argomenti seri, come succede nel vostro ultimo singolo “At The Station”, ma con la vostra solita spensieratezza gitana. Come ci riuscite? Non avete paura che il messaggio non arrivi?
Olà! Innanzitutto grazie per esservi interessati così tanto a noi, alle nostre interviste… è bello sapere che si parla e si discute di noi.
Desideriamo essere presi sul serio ma non essendo psicologi, dottori, scienziati o filosofi preferiamo esprimere le nostre idee simbolicamente tramite la poesia, la musica, la gestualità, il modo di vestire… senza preoccuparci di dimostrarle; non è questo il nostro scopo come band, non è questo che ci compete.
Che la controcultura sia una cosa da prendere molto sul serio è oggi sempre più noto: negli anni ’60 Timothy Leary é stato definito da Nixon l’uomo più pericoloso d’America ed oggi, a circa 60 anni di distanza dall’inizio dell’era proibizionista e della sanguinolenta “War on Drugs”, stiamo vivendo un fenomeno a livello globale che è stato definito “rinascimento psichedelico” (come titola un articolo della rivista Internazionale) e che è supportato dalle maggiori università e riviste scientifiche del mondo (The Lancet e Harvard per fare due nomi).
Basta accedere a Netflix o Amazon Prime per vedere film o documentari sull’uso creativo/ricreativo/terapeutico di psichedelici… sta entrando a fare parte della cultura dominante ormai da tempo.
Per quanto riguarda la più nota cannabis, che è senza dubbio una sostanza psichedelica/rivelatoria, è interessante leggere Marihuana The Forbidden Medicine di Lester Grinspoon, professore di psichiatria ad Harvard.
Sono partito dal parlare di sostanze – anche se nelle interviste non ne abbiamo fatto un riferimento esplicito – perché al pari del sesso penso che questo sia un enorme tabù nella nostra società.
In Italia in particolare, d’altronde basta guardare la copertina dell’album, il titolo della prima traccia oppure semplicemente ascoltarlo per rendersi conto che non disprezziamo l’uso di strumenti e colori psichedelici.
Sono partito col parlare di sostanze perché proprio secondo i famosi hippies, tacciati all’epoca di essere isterici ed ingenui adolescenti (talvolta ingenuamente uccisi o picchiati), la possibilità e la libertà di poter alterare la propria coscienza è un alleato importante nel proprio percorso evolutivo, nella presa di consapevolezza del proprio sé e del mondo in cui viviamo, dei propri limiti, delle proprie paure, sogni…
Per me è stato un aiuto fondamentale per comprendere meglio la malattia di cui ho sofferto e per scrivere il testo Poliamore e Carnevale, nel quale ho rielaborato in forma molto personale il nuovo nome (esiste dal 1990) che ha preso oggi il fenomeno delle relazioni non esclusive.
Questo fenomeno esiste da quando esiste l’essere umano (così è se vi pare) e perfino in Italia in quasi ogni città esistono da anni ritrovi di poliamorosi; ci sono perfino partiti in Europa che hanno introdotto il poliamore nei loro programmi politici.
Non si può far finta che questo fenomeno non esista o che sia una forma di perversione, non nel 2020 grazie, ci si deve limitare ad accettarlo e rispettarlo, permettere che esista e lottare affinché le persone che lo praticano godano degli stessi diritti delle persone tradizionalmente sposate.
Per chi vuole approfondire l’argomento consiglio di leggere il libro La Zoccola Etica, Guida al poliamore ecc… delle psicologhe Dossie Easton e Janet Hardy, il libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato scritto da Engels ma basato su studi storici ed etnologici compiuti da Marx, e infine L’amore con più partner dello zoologo Carlo Consiglio, professore alla Sapienza di Roma.
Sempre sull’argomento devo ancora leggere La rivoluzione sessuale di William Reich e In principio era il sesso di Christopher Ryan e Cacilda Jethà, che è forse il libro oggi più letto e discusso sull’argomento.
Ho citato un pò di autori, nuovi più che vecchi, riviste e università, per farvi capire che c’è un’attenta analisi e riflessione dietro i testi e le idee che esprimiamo, tuttavia personalmente non sono giunto ad identificarmi con la controcultura leggendo Kerouac, Alan Watts o Ginsberg, e nemmeno da piccolo quando ho portato come tesina al liceo “L’aggressività umana” ispirandomi al mega mattone dello psicologo contemporaneo Eric Fromm (di cui ho letto una sintesi e più in là con gli anni il libro “L’arte di amare”).
Sono giunto a sentirmi e definirmi come sono grazie alle persone che ho incontrato e alle esperienze che ho vissuto, grazie alle musiche e ai film che ho visto sopratutto, attraverso simboli.
Parlo di Kubrick, di Fellini, dei film sui nativi indiani d’America, ma sopratutto mi riferisco agli autori afroamericani della musica blues (Delta e Chicago), del jazz e non da ultimo mi riferisco alle mitiche blues-rock band, insomma a quel fenomeno che ha cambiato la storia e la mentalità delle persone a partire dagli anni 60!
Guardando all’Italia, due autori famosissimi hanno sposato queste idee, Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè con le loro canzoni dissacranti come Il testamento di Tito (dove Fabrizio mette in discussione il comandamento non desiderare la donna altrui), Bocca di Rosa, Gianna (in cui Rino canta provocatoriamente nel ritornello finale “ma di chi sei?”), Ahi Maria ed altre.
Il vostro nuovo album è pieno di collaborazioni, ce le elenchi?
Certo, eccole qui!
Alberto Pretto – basso elettrico e voce
Roland Satterwhite – violino (Seattle, Usa)
Seraphim Breno Gradel – fischio e percussioni (Rio De Janeiro, Brasile)
Pinar Tatlikazan – seconda voce (Bursa, Turchia)
Paolo Polonio – contrabbasso
Michele Uliana – clarinetto
Glauco Benedetti – eufonio, tuba
Edoardo Brunello – sax tenore
Milo Lombardi – sax tenore
Sergio Gonzo – tromba
Giulio Tullio – trombone
Tommaso Piron – trombone
Giovanni Perin – vibrafono
Giuseppe Dato – pianoforte
Diego Architetto – batteria
Leggiamo in giro che il vostro “Pissing Around” era pronto già da tempo prima dell’uscita. Com’è riascoltarlo adesso? Col senno di poi, è esattamente come lo volevate?
In realtà non è del tutto vero, le voci di Pinar Tatlikazan e le parti sintetiche di Amedeo Schiavon ad esempio sono state aggiunte pochi giorni prima della pubblicazione dell’album, tuttavia sì, la struttura del disco era già completa da tempo.
L’album ha richiesto molto tempo per vari motivi: si tratta di un grosso lavoro (12 tracce, 17 musicisti) autoprodotto e realizzato con artisti che si sono offerti di registrare gratuitamente (quasi tutti).
Questo di certo non ha accelerato il processo di registrazione. Il motivo principale tuttavia è un altro, sono stato operato e guarito dalla malattia nel gennaio 2016 e c’è voluto più di un anno prima di sentirmi nelle condizioni psicofisiche di affrontare questo lavoro.
Questa mia debolezza ha dato la possibilità ad alcune persone di approfittarsene, in particolare ho avuto un grosso disguido ed enormi problemi di comunicazione con uno degli studio coinvolti, questo ha ritardato sensibilmente il lavoro, come minimo di 1 anno…
Alla resa dei conti siamo contenti che sia andata così, perché abbiamo avuto il tempo e la calma necessari per ottenere esattamente il risultato che avevo in mente.
Ho registrato le parti vocali e soliste dell’album nel 2018 quando ormai mi ero ripreso in buona parte dal trauma avuto, ricordo di aver riascoltato la take vocale di At the Station e aver detto entusiasta al fonico: “eccola, è lei!”.
Infine, abbiamo aspettato il momento migliore per pubblicarlo: eravamo sul punto di fare uscire un secondo singolo già all’inizio dell’anno ma la pandemia ci ha fermati.
Nel frattempo, abbiamo lasciato la nostra vecchia etichetta ed iniziato a lavorare con Red&Blue Music Relations, quindi tutto sommato l’attesa si è rivelata doppiamente utile oltre ad aver creato un alone di mistero, chiacchiere, scetticismo che comunque ha fatto parlare del progetto, pubblicità gratuita per un disco che oggi parla da sè e non ha bisogno di difendersi da nessuno.
Riascoltarlo oggi è bellissimo, a dir la verità più il tempo passa più apprezziamo il lavoro che abbiamo svolto, più siamo convinti di averlo confezionato come lo volevamo.
Che differenze ci sono, per chi vuole fare musica, tra Vicenza e Berlino?
Ci sono due differenza fondamentali, chi fa musica a Vicenza (siamo di Padova in realtà) e in generale nel Veneto viene pagato per farlo anche se non viene considerato un lavoratore.
Il suo lavoro solitamente non viene apprezzato e il locale se può preferisce chiamare qualcun altro che faccia musica non originale (tribute band) e che porti gente soprattutto, il tutto possibilmente a poco prezzo visto che molta gente si offre per suonare senza chiedere un cachet.
Come se io mi mettessi a fare consulenze matrimoniali gratuitamente, beh vorrei che qualcuno mi arrestasse se solo provassi a farlo!
La seconda differenza, curiosamente e ironicamente, è che a Berlino *tutti* i locali non pagano per suonare (esattamente come a Londra…fanno eccezione gli hotels i ristoranti, le cene aziendali e i matrimoni).
Ti permettono di chiedere delle offerte, quindi in realtà sei trattato ancora peggio che in Italia ma almeno hai la soddisfazione di suonare per persone che sono molto sensibili all’arte e alla musica in particolare, che ti rispettano per la funzione che svogli nella società, che ti ascoltano veramente e se c’è da ballare ballano, che sono abituate a qualsiasi curiosità (se vai in giro per Berlino con un sombrero extra-large non sarai giudicato più matto della classica nonnina punk con la cresta arcobaleno).
Una volta ricordo di aver suonato in un bar, non un night club né tantomeno il Kit Kat Klub, e che a fine concerto erano tutti mezzi nudi (colpa di una mia amica che si è tolta il reggiseno…
Berlino è un mondo a parte dove l’arte non si mette da parte, ma dove te la infilano in quel posto a prescindere!
Dove saranno i Las Flores Molestas tra cinque anni?
All’estero, auspicabilmente in tournée in Nord o Sud America: vorremmo espatriare tutti assieme entro il 2022 dopo aver ripreso con noi il bassista co-fondatore della band Alberto “Bebo” Pretto.
Io vorrei andare a Barcellona (dove ci sono oltre 200 orchestre di Batukada, la samba del carnevale di Rio!!!), ma purtroppo Amedeo è un vampiro e lì non avrebbe vita facile, mi sa che torneremo sotto il cielo di Berlino!