Per l’uscita del loro nuovo singolo, L’océan, ho fatto quattro chiacchiere con Lamaglietta, neonato progetto di Paolo Pitorri e Peppe Levanto. Unione nata a Roma ma con una grandissima influenza francese, tanto da avere i testi in lingua.
La loro musica è un’esperienza diversa, molto intima e da questo sono nate delle domande che andassero a scavare nei meandri del loro modo di vivere il suono, i testi e le influenze.
Vorrei mi parlaste di come nasce “lamaglietta”, quali sono le fonti di ispirazione, quali i modelli?
In realtà il progetto lamaglietta nasce nella cameretta di Paolo, precisamente un anno fa, dopo un periodo trascorso in Francia.
Sicuramente quando ho scritto l’album avevo degli ascolti costanti, come Elliott Smith ad esempio. La mia idea era proprio quella di fare una cosa sporchissima e scarna.
Poi le cose sono cambiate drasticamente in meglio con l’amicizia delle persone che ora mi accompagnano ovunque, le canzoni hanno preso un respiro diverso. Ci hanno definito dreamy, e mi piace un sacco.
Violette è il vostro singolo di esordio, ed è scritto in francese. Non avete avuto paura della reazione del pubblico ad una lingua diversa dalla propria?
In realtà non ho avuto paure, ho sempre pensato alla bellezza della lingua francese. Per quanto riguarda la reazione del pubblico non mi sono proprio posto il problema. Io la vedo così: ascolti musica in inglese e ti piace? Bene.
Perché non in lingua francese? E poi il francese mi sembra andare molto di moda. Vedo titoli di canzoni, ritornelli di canzoni, nomi tour di band scritti in francese. Quindi forse affascina…
L’immaginario francese è evidente anche nel video. Se voi doveste descrivere la vostra musica attraverso immagini, quali sarebbero?
Sicuramente le fotografie di Paolo, come ha detto anche in altre interviste. Lui quando canta vede proprio stampate nella sua mente delle fotografie, le sue. Quindi potete visitare il suo profilo e farvi un’idea.
C’è molto della sua Francia nei testi, testi che sono veramente fotografici, anche per brevità.
Sicuramente c’è Bordeaux con la sua Dune duPylat, una pozza di sangue vista per la prima volta a Lille, il freddo e il grigio francese, i treni, il vino, gli amori, gli ospedali. Tutte queste cose descritte in poco spazio, proprio come una fotografia.
Il francese è, di per sé, la lingua più romantica che esista e voi la usate per descrivere un amore malato. Violer violette (stuprare Violette) è una frase quasi ossimorica. Vista in questo senso, è un effetto che avete cercato o è stato il caso a rendervelo?
Io vorrei sfatare questa cosa della lingua romantica, avendo passato del tempo in Francia posso dire che tutto mi è sembrato tranne che romantico (ride). Secondo me è un luogo comune distortissimo.
Mi piace molto giocare con le parole, mi piaceva la similitudine dei due termini, uso molto questo gioco nelle mie canzoni. Però c’è da dire che nel testo “Violette” è il nome che ho dato insieme ad un’altra persona alla serata passata insieme. Quindi l’idea era quella di “stuprare” la serata, quindi poi “Violette” potrebbe ingannare, semplicemente perché sembra riferito a una ragazza.
E se proprio la vogliamo vedere così, e ci sta, e l’ho pensato anche io, puoi immagine cosa significa “violer Violette” (ride). Avremmo dovuto mettere, ora che ci penso, su Spotify la dicitura “explicit content”.
Ho fatto lo stesso gioco di parole nel singolo uscito il 19 giugno, scritto insieme agli Oribu: Je tombe dans la tombe froide de l’Océan (cado nella tomba fredda dell’Oceano). Dove tombe significa cadere e significa anche tomba.
Scrivete in francese ma, musicalmente, a che città credete di appartenere e perché?
Bella domanda, c’è molta Islanda, ma anche molta Italia, forse poca Francia anche se Paolo non sapendolo ha scritto quasi tutte le sue canzoni in un ritmo tipicamente francese, ovvero il ¾.
Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro futuro musicale?
È da poco uscito il singolo L’océan, diverso per sonorità e per genere dal primo. Sai, è un featuring quindi ci sta. È più elettronico e lo-fi, un tipo di musica che secondo noi arriverà anche in Italia.
Gli Oribu, con i quali abbiamo collaborato sono veramente forti in questo genere, infatti ascoltateli, non ve ne pentirete.
A settembre uscirà un altro singolo e dopo qualche mese abbiamo intenzione di far uscire il disco e suonarlo un po’ in giro, Italia e Europa se riusciamo.
C’è qualcosa, nel panorama odierno italiano, a cui vi sentite affini?
Sì, sicuramente ci sono molte band che amiamo e che sosteniamo. Ci sono band molto talentuose nel sottobosco italiano, forse fare un elenco sarebbe riduttivo. Per dire tra i più famosi ci sono i Verdena, oppure la Rappresentate di Lista, iosonouncane, Any Other, i Mòn, Blindur, ecc…
Raccontateci un aneddoto o un segreto! Cosa davvero non possiamo non sapere?
Due ragazzi della band studiano jazz, uno musica classica e l’altro si è diplomato in conservatorio i pianoforte. Paolo invece non ha fatto niente di tutto questo.
di Mariarita Colicchio
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