“Dove gli occhi non possono arrivare” è il titolo del nuovo album della band La stanza della nonna.
Il disco, uscito sul finire del 2019, conferma lo stile del gruppo messinese sia nelle sonorità che nei testi, ma ne sancisce anche la costante necessità di evoluzione.
Protagonista di Dove gli occhi non possono arrivare, loro seconda uscita, è l’intimità dei rapporti umani, accompagnata da elementi legati al sociale e a tante problematiche del nostro vivere quotidiano. Ci si interroga su ciò che ci è vicino, ma anche su ciò che più in generale riguarda la società in cui viviamo. Una società vista con tutte le sue contraddizioni, che forse troppo spesso sentiamo lontane, ma che invece influiscono, spesso profondamente, sulle nostre vite.
Il disco racconta di denunce sociali, ma anche di amicizie, affetti familiari e vuole riconosce, per stessa ammissione della band, un valore all’ozio creativo.
Dove gli occhi non possono arrivare ha inoltre un forte legame con tre elementi: l’acqua (metafora del fluire della vita), la ricerca della felicità e l’eterna lotta tra realtà e fantasia. E rispetto a quest’ultimo punto, sicuramente, La stanza della nonna non ha dubbi su cosa scegliere tra le due, basta anche solo sbirciare i titoli dei brani (Dove gli occhi non possono arrivare, Hai mai visto asini volare).
E tutto nacque proprio in una stanza, e naturalmente proprio a casa di una nonna, quella di due dei componenti originari della band. Ma il gruppo, in realtà, si muoveva già da allora lungo l’intero stivale, non solo per suonare ma anche a causa degli impegni dei singoli musicisti. Così, le atmosfere familiari nate in quella stanza si mischiarono subito con la volontà di uscire sempre più “fuwebori”.
Dopo alcuni cambi di formazione, la band si è stabilizzata con Gianluca Fontanaro alla voce, Claudio D’Iglio alla chitarra elettrica ed acustica, Bruno Di Sarcina (synth e tastiere), Giuseppe Ruggeri (basso) e Antonio Ramires (batteria).
Abbiamo fatto qualche domanda a Gianluca, front-man e portavoce della band, per conoscere meglio il loro percorso e questo nuovo disco.
Gianluca, allora, ci sono state interviste che non siano partite dalla domanda “Qual è il significato del vostro nome”?
Eh no, mai iniziato un’intervista senza spiegare il nostro nome! La stanza della nonna è uno dei primi brani che abbiamo scritto, ma anche un luogo fisico esistente. Questo percorso è nato in una delle stanze in disuso della casa dei nonni di due componenti della banda e abbiamo sempre avuto un legame “familiare” tra di noi, amici da una vita. Questo nome ci sembrava perfetto.
Il vostro nuovo album parte con una vera e propria dichiarazione di intenti “Come sarebbe un film neo-realista, se fosse un disco rock”. Perché proprio il riferimento al cinema neorealista?
Questa è una definizione che ha trovato Fabio Bruno, speaker e giornalista a cui abbiamo dato l’incarico di scrivere le sue impressioni sul nostro nuovo album. Probabilmente il motivo è che nelle nostre canzoni, come ad esempio in Mendico, si sentono dei sapori antichi, sia testualmente che musicalmente, ma che si mischiano a suoni più moderni.
In questi mesi di fermo alcuni musicisti, ma anche tante band hanno affrontato la situazione sfornando live in diretta dai canali più svariati e tirando fuori materiali d’archivio. Altri invece l’hanno usata come pausa di riflessione, alcuni ritirandosi completamente dalla scena. Voi, come gruppo, che linea avete deciso di adottare? (se una linea c’è stata).
La nostra linea è stata quella di non fare dei live dai social. Abbiamo fatto delle interviste con piccoli interventi musicali, ma sentiamo molto forte l’esigenza di suonare in almeno tre elementi, cosa impossibile nel periodo che abbiamo passato, essendo tutti in case diverse. Si rischiava solo di fare dei live brutti, con ritardi di linea e movimenti scattosi. Abbiamo approfittato per scrivere dei brani nuovi, che faremo uscire nei prossimi mesi e di questo siamo felicissimi!
Beh, del resto siete nati con una formazione di ben sette elementi, ora diventati quattro. Mi chiedo: si riesce a mettere insieme, in una sola canzone, le idee di sette persone?
Non è facile, ma abbiamo la fortuna di essere un gruppo molto unito ed affiatato, basato sullo stare bene insieme e che musicalmente si mette sempre in discussione. Anche quando gli elementi sono cambiati, abbiamo sempre trovato persone senza manie di protagonismo, cosa fondamentale per vivere in armonia. La ricetta è questa e si ritorna al concetto di famiglia che da sempre portiamo con noi.
Permettimi di aprire una piccola parentesi sul Dalek Studio, lo studio messinese all’interno del quale avete registrato il disco, ma anche un posto che tu e gli altri componenti della band da anni tenete vivo, in qualità di agitatori musicali e culturali. Raccontaci brevemente cosa avete fatto negli ultimi anni e quali sono le speranze per il prossimo, per tutti così incerto, futuro.
Il Dalek Studio è sicuramente uno degli elementi che ha fatto sì che la nostra banda avesse una crescita. Da “dalekkiani” abbiamo organizzato tantissimi concerti, video session, manifestazioni culturali non legate prettamente alla musica. Avendo iniziato a collaborare col Dalek nel 2015, anno in cui abbiamo registrato il primo disco, abbiamo avuto modo di assistere a tantissime registrazioni. E tante altre cose fatte lì in questo momento magari dimentico. Il nostro piano è sempre lo stesso: continuare ad essere un riferimento per chi vuole creare arte e cultura e formare una famiglia sempre più larga di artisti che collaborano in armonia.
Il disco ha numerose collaborazioni di altri musicisti. Ci puoi raccontare di chi si tratta e perché avete deciso di coinvolgerli?
Essendo anche parte del Dalek Studio, in questi anni, abbiamo legato con moltissimi musicisti che orbitano attorno ad esso. Come Karmagally ad esempio, maestro del synth, con cui ci troviamo benissimo. Stessa cosa con i Big Mimma, una band messinese che mischiando Africa e Sicilia ha creato un fantastico sound. Fabrizio Marcellino è un chitarrista “atomico” con cui siamo molto amici e ci piace coinvolgerlo quando arrangiamo brani di un certo tipo. Claudio La Rosa è il fonico del Dalek Studio, ma anche bravissimo arrangiatore e batterista. Abbiamo avuto anche il piacere di avere Nino Bellinghieri, che ha subito messo a disposizione il suo flicorno e la sua tromba e Federica Fornaro, bravissima chitarrista che fa parte dei Basiliscus P, una band messinese molto cazzuta. Senza usare frasi fatte… per noi la musica è condivisione!
Mi sembra che questa tua affermazione introduca al meglio la mia prossima domanda. La produzione del disco è stata curata da Damiano Miceli [di lui avevamo parlato qui] che ha a quanto pare è stato per voi una vera e propria guida verso una nuova strada. Puoi parlarci di questo che voi stessi avete definito uno “scambio continuo”?
Con Damiano c’è stato un flusso continuo di scambi, musicali e non solo. Noi lo abbiamo fatto entrare nel nostro mondo e lui ci ha fatto conoscere tantissimi artisti che non conoscevamo o non avevamo mai approfondito. Spesso ci sfidava a smontare completamente i brani per come li avevamo concepiti, e questa è una cosa che ci ha fatto crescere e divertire tantissimo. Siamo in continuo contatto ed è bellissimo collaborare con lui. Il disco doveva uscire nel 2018, ma abbiamo preferito ritardarne la messa al mondo proprio per continuare questo “gioco” bellissimo in cui eravamo finiti.