Venerdì 25 giugno è uscito “Kolé”, il disco omonimo dell’artista romana.
Dopo l’esordio con Your Mouth e il successivo singolo Red Fruits, Kolè torna con il suo disco d’esordio.
L’atipica cantautrice romana classe 1993 si lascia influenzare da Radiohead e Portishead, Moltheni e Afterhours, ma anche da Quantic Soul Orchestra e Fela Kuti.
Un mix unico quello di Kolè, che ci porta nel territorio inesplorato all’interno di un esperimento sussurrato ed elegantissimo tra trip hop, funk e nu soul.
Ecco cosa ci ha raccontato!
Quale credi che sia l’ingrediente segreto per rendere il tuo disco di debutto un EP unico?
Il fatto che sia in inglese lo rende sicuramente anomalo, come anche il fatto che ci siano due generi distinti. Spero l’originalità.
Quali sono le tue esperienze musicali e formazioni precedenti?
Ho suonato jazz per qualche tempo e nu-soul con un’altra formazione. Ho anche frequentato un gruppo psych-rock per qualche tempo ma le composizioni non erano mie.
Dove possiamo rintracciare qui l’influenza dei canti gregoriani e della musica bizantina antica?
Sicuramente nell’armonia di Pink leaves e nelle armonizzazioni in generale di Your Mouth, All the things e Pink Leaves.
Qual è la tua personalissima definizione di trip hop?
Non è personale, è storica: è quella di un hip hop che è andato fondendosi con un pop più raffinato pur mantenendo nel ritmo poca sedentarietà e molta originalità. Alcuni esponenti sono i Massive Attack o Portishead, ad esempio. Per me è una figata, dovendo essere personale.
Come descriveresti Kolè a chi non l’ha ancora ascoltato?
Variegato e ricco, forse poco nitido.