Si può definire un cantautore rock, con quella voce rauca e profonda che ricorda Ligabue, ma a renderlo unico è un’attitudine indie e un’aria da zingaro. Il suo ultimo album si intitola “T3rzo disco d’esordio” ed è un continuo ricominciare da capo e perdersi in versi del poter e non poter fare, regole continue che Inigo detta e mette in discussione. Abbiamo parlato con lui di nuovi inizi, nuovi singoli, Brunori Sas e… serie televisive.
Un terzo disco, autodefinito un terzo disco d’esordio. Com’è questa storia?
Come già riferito ad altri tuoi colleghi, ci sono due chiavi di lettura e una non esclude l’altra. Tecnicamente è il mio primo disco da solista, ma il terzo della mia carriera, perché ne avevo pubblicati due con il mio progetto precedente. L’altra chiave di lettura è più concettuale: finché non arrivi a fare determinati numeri sarai sempre considerato un esordiente, anche con tanti dischi alle spalle e quindi ho voluto esorcizzare con l’ironia questa curiosissima realtà.
L’album si apre con un “Ho smesso di fumare anche se non avevo mai cominciato davvero” e via così, anche con lo studiare etc… Un po’ come se con questo terzo disco d’esordio dichiarassi che, in fondo, non avevi neanche cominciato davvero a fare il cantautore e per questo ricominci con un terzo disco d’esordio. Sbaglio?
In parte quello che dici è vero, il mio progetto precedente “Inigo & Grigiolimpido” era, come è giusto che fosse trattandosi di un progetto di band, il compromesso tra i mondi e le esperienze di tutti i componenti della band. Questo disco invece è partito da una mia idea precisa: la produzione artistica curata da me e dal mio chitarrista Emanuele De Lucia ha assecondato la scrittura dei brani chitarra e voce. Il risultato è molto più acustico e più “indie” rispetto al passato.
Un disco pieno di regole, pieno di “mai“, di “pensare di meno e fare di più” e di massime quali “Le cose che vuoi, te le devi sudare“, c’è poi anche “Osare” e c’è “Mai fermarsi“. Regole che l’io delle canzoni offre per spingere l’ascoltatore ad osare. A volte sembra che per spingere all’azione bisogna darsi dei limiti, delle regole, delle imposizioni e il tutto diventa un po’ ossimorico. Insomma, essere liberi di fare quello che le emozioni ci spingono a fare, o darsi delle regole, rimboccarsi le maniche e lavorare sodo?
Credo che un po’ in tutte le cose della vita serva equilibrio, l’istinto e le emozioni devono guidarci sempre, ma allo stesso tempo vanno veicolati nella direzione giusta. Io sono sicuro del fatto che se riuscissi a darmi più regole otterrei molti più risultati, un minimo di compromesso tra la vita pensata e quella reale è necessario in tutti gli ambiti secondo me.
Ad esempio, nel mio lavoro io sono una persona molto istintiva e questa cosa è un bene nella fase di scrittura: prendo la chitarra in mano e scrivo un pezzo solo se mi parte qualcosa. Non sono un metodico, uno che si alza la mattina, si siede ad un tavolino e scrive una canzone. Però ho capito negli anni che questo non può bastare… Va benissimo nella prima fase, ma poi c’è tutto un lavoro sia artistico, per portare i brani ad essere esattamente quello che abbiamo in mente, che manageriale (soprattutto se non hai chi lo fa al tuo posto), per provare ad alzare l’asticella canzone dopo canzone, disco dopo disco e così via.
Questo disco sembra quasi anche un’ammissione di colpa. “Non ti so amare”: sono parole fortissime. Una resa? Un disco di consigli universali per tutti gli sconfitti?
Il videoclip di “Non ti so amare” nella scena finale spiega il lato B di questa canzone: prima di amare il prossimo devi imparare ad amare te stesso e questo processo è arduo. Riuscire a diventare esattamente quello che vorremmo essere in modo da non avere né rimorsi né rimpianti credo sia la cosa più difficile di tutte, ma è propedeutica a tutto il resto.
Una resa no, un’ammissione di colpa in parte sì, ma più che altro un punto di partenza per provare a migliorarsi. Per quanto riguarda l’ultima domanda, devo ammettere che ai miei occhi gli sconfitti vivono delle vite molto più interessanti di quelle dei vincitori e le mie canzoni più che dei consigli sono delle pacche sulla spalla, dei sorrisi agrodolci d’intesa.
Chi dovrebbe ascoltare questo album?
Tutti quelli che hanno mezz’ora di tempo da dedicare ad un disco.
Di cosa parla “La tesi del Coraggio“?
Parla dell’idea di coraggio, quell’idea che tutti abbiamo ben piantata in testa, ma che per una serie di motivazioni non riusciamo ad applicare alla vita reale. Non è una canzone che giudica chi non riesce a passare alla fase successiva, ma istiga all’accettazione della propria dimensione, qualunque essa sia… In fondo, almeno in parte, siamo padroni del nostro destino e arriva un momento prima o poi nella vita di ognuno di noi nel quale si decide di agire con la propria testa, senza condizionamenti esterni. L’unica cosa da non fare in quel momento è guardarsi alle spalle.
E “Osare” invece? É una canzone sui rimpianti? Ascoltando il disco viene da dire che tu ne abbia davvero molti…
“Osare” affronta lo stesso argomento in un’altra chiave, sicuramente più diretta e meno onirica… Ma il concetto è simile, il mantra finale recita “chi è causa del suo mal rida lo stesso”, come prima: inutile guardarsi alle spalle, l’importante è prendere consapevolezza delle cose e imparare a conviverci. Io qualche rimpianto ce l’ho un po’ come tutti, ma l’unica cosa che puoi fare è provare a migliorare te stesso. Io non mi sono mai sentito in competizione con nessuno e non pretendo che arrivi qualcuno a salvarmi, però credo che una lunga semina prima o poi qualche frutto lo porta.
Sempre ascoltando il disco, si direbbe che tu sia più vicino alla generazione dei ventenni, che a quella successiva e più. Sbaglio? Come mai?
Sì e no. Io faccio parte di una generazione sospesa, sono nato nell’anno 17 a.i. (avanti internet)… Ho vissuto la crisi intorno ai miei 20 anni, il mondo ad un certo punto si è fermato ed è ancora fermo (tecnologia a parte). Io vivo la precarietà dei ventenni di oggi pur avendo qualche anno in più, forse è questo che mi porta ad essere più vicino a questa generazione, ma proprio in virtù di questa fase stagnante politico-sociale vissuta in questi anni non sono l’unico trentenne a parlare ai ventenni e soprattutto non sono solo i ventenni a potersiritrovare nelle mie canzoni. I bilanci in fondo non si fanno a vent’anni e tanto meno si hanno rimpianti importanti a quell’età.
Come nasce invece la tua collaborazione con Andrea Mirò?
Nasce pensando ad una voce femminile ed onirica e ad una presenza di grande spessore artistico. Ho pensato subito a lei, poi sono stato fortunato nel riuscire a farle ascoltare il brano e il fatto che lei abbia accettato il mio invito mi riempie d’orgoglio, anche perché sono super-soddisfatto del risultato finale.
Cosa ci dici invece del video del singolo? Qual è il ruolo che interpreti?
Il videoclip, che sembra una puntata di Black Mirror – a mio avviso – e non solo, è nato da un’idea di Tommaso Trombetta (regista anche dei videoclip di “Osare” e “Non ti so amare”). Io interpreto uno scienziato cattivo che ha inventato un microchip che prende informazioni da delle fotografie e riesce a riportare le persone a rivivere dei momenti di felicità. Felicità effimera come quella indotta da una qualsiasi droga e che chiaramente nasconde i suoi effetti collaterali.
Che tipo di musicista sei? Accademico o istintivo?
Molto istintivo, più che un musicista mi definisco un inventore di canzoni e mi piace cantarle. Come dicevo in una risposta precedente, nella fase di scrittura soprattutto l’istinto la fa da padrone… Poi è chiaro, la musica l’ho studiata e questo nella fase successiva mi porta ad avere più frecce nell’arco quando il brano lo devo chiudere. L’istinto è sacrosanto e va tutelato, ma non deve essere una scusa… Va bene fare un brano con due accordi, ma non perché sono gli unici che conosci.
Hai una chitarra preferita? Ce ne parli? Ha un nome? Quella con uno strumento, è considerabile una sorta di relazione?
In realtà non sono un feticista dello strumento, la mie chitarre non hanno un nome e non ci dormo insieme… Se fosse una relazione sarebbe poligamica, i tradimenti sono quindi consentiti, soprattutto con chitarre che suonano meglio di quelle che ho 🙂
Ascoltandoti sembri un Ligabue che canta canzoni di un Brunori Sas, un po’ più cinico e più arrabbiato. Insomma, banalmente, un cantautore rock. Ti ritrovi in questa descrizione?
Hai citato due artisti lontani ma non troppo. Se ricordi bene qualche anno fa Brunori Sas ha anche aperto uno o più concerti di Ligabue. Io di Ligabue ho amato soprattutto un disco: “Buon compleanno Elvis”: a quei tempi i dischi si ascoltavano in auto e alcuni rimanevano nello stereo per mesi… Brunori Sas mi è piaciuto fin dal primo disco e ho assistito a concerti dei suoi primi tre tour, quindi non posso che essere contento dei tuoi illustri paragoni, pur odiando i paragoni. In realtà credo di essere molto a fuoco artisticamente, anche se non tocca a me dirlo. La definizione di cantautore rock ci può stare, perché il mio timbro vocale fa pensare a quel mondo lì, ma io mi sento più che altro un cantautore indipendente, anche se più cinico e più arrabbiato.
Quali sono le tue influenze musicali?
Ho masticato canzoni fin da bambino, negli anni ’90 (quelli avanti internet) la musica si ascoltava in radio e io ho preso molto da quegli anni e davo molta importanza ai testi delle canzoni, questo mi portava quindi ad ascoltare più musica italiana che internazionale, per evidenti motivi. Poi c’era quella che ascoltavo in auto con i miei e mio padre ascoltava per lo più De Andrè e tutto quel mondo lì… Dopo è arrivato il web e mi sono avvicinato tanto alla musica indipendente, soprattutto ai cantautori degli anni zero.
Quali invece quelle non musicali? Ci consigli qualche film o serie tv?
Vado molto al cinema, preferisco i film drammatici, i thriller e gli horror psicologici. Negli ultimi anni ho riscoperto anche quelli di fantascienza… Vi consiglio sicuramente “L’artista”, un film (drammatico/commedia) del 2008 di Mariano Cohn e Gaston Duprat e poi, cambiando genere, “I origins” (drammatico/fantascienza) del 2014 di Mike Cahill. Per quanto riguarda le serie TV sono un fan di Gomorra, ma ve ne suggerisco altre tre: “Dark”, “22/11/63” con James Franco e anche “The end of the fucking world”, fighissima.
di Smoking Area