Che bella cosa produrre un disco alternative-rock in un mercato ormai dominato da it-pop e trap.
E mentre nella scena musicale italiana le chitarre tendono sempre più a scomparire, i Botanici continuano a suonare rock, a urlare e a fare rumore.
Due anni dopo Solstizio, il trio di Benevento è tornato con Origami, uscito l’8 ottobre per Garrincha Dischi e anticipato dai singoli Mattone e Nottata. Il disco nasce in un momento di forti cambiamenti per la band, ma gli ingredienti della musica restano sempre gli stessi: narrazione semplice e spontanea, influenze post-harcore/emo, arpeggi di chitarra e tanta, tantissima grinta.
Oggi i Botanici sono pronti a portare Origami sui palchi di tutta Italia e noi abbiamo deciso di incontrarli per fargli qualche domanda. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Ciao ragazzi! Iniziamo subito a parlare del nuovo album. Avete dato al disco il titolo di un brano, come mai questa scelta e perché proprio “Origami”?
Buongiorno a voi! Origami è un po’ il brano che per eccellenza racconta la nostra evoluzione musicale. Riassume tutte (o quasi) le sfaccettature del nostro nuovo disco e di conseguenza ci sembrava il più adatto per dargli un nome.
Il tour di Origami è partito da Bologna, città a cui siete molto legati. Io mi trovavo in mezzo al pubblico e devo dire che l’atmosfera era davvero incredibile. Come è stato tornare a suonare al Covo Club?
È stato davvero emozionante. La volta scorsa eravamo una band di apertura, mentre quest’altra abbiamo suonato da protagonisti davanti ad un pubblico che era lì principalmente per noi. Credo che ricorderemo quel giorno per un bel pezzo. Ci siamo divertiti, vero?!
Verissimo. Quella sera al Covo sono saliti sul palco insieme a voi anche i ragazzi de Lo Stato Sociale, che hanno collaborato alla realizzazione del disco. Ho trovato davvero interessante questa commistione di generi! È anche molto bello vedere che all’interno della vostra etichetta, la Garrincha, non c’è competizione. Sembrate, per così dire, una grande famiglia…
È esattamente così. Garrincha è una grande famiglia dove le collaborazioni sono sempre un piacere. Nel nostro disco c’è Checco alla voce su Camomilla e Carota ai synth su Sfortuna. Siamo molto orgogliosi di queste partecipazioni e siamo convinti che abbiano davvero dato un valore aggiunto ai nostri brani.
Molte cose sono cambiate rispetto agli esordi del lontano 2015. La vostra identità è però rimasta ben solida e coerente con gli inizi: in un certo senso Origami sembra la naturale evoluzione di Solstizio. In che modo il nuovo disco si differenzia dal precedente lavoro?
Sono cambiate molte cose dal 2015, siamo cambiati innanzitutto noi, nella composizione della band, siamo cambiati come persone: nuove esperienze, nuove incognite, nuove speranze.
Forse è più corretto dire che ci siamo evoluti.
Origami e Solstizio hanno delle similitudini ma sono, per le ragioni esposte prima, anche profondamente diversi.
Dal punto di vista tematico, in Origami ritroviamo un po’ la malinconia e la nostalgia che contraddistinguono i vostri lavori precedenti. Ma c’è anche la paura del cambiamento, l’incognita del futuro, l’affacciarsi all’età adulta. La fine dei vent’anni è un argomento che ricorre spesso nel panorama musicale alternativo, penso ad esempio ai FASK. In Nottata cantate: “E tutti i miei amici si sposano […] ed io che non so mai se ambire a diventare un uomo normale, posto statale, amore banale”. Come vivete questi cambiamenti?
Nottata è quasi un inno all’incertezza, non offre soluzioni. È semplicemente un prendere atto dell’età che avanza, del mondo che va avanti e non ti aspetta anche se non hai ancora capito come affrontarlo. È l’interrogativo per eccellenza: inseguire i propri sogni, essere ambiziosi, essere “liberi” o accontentarsi di una vita media (per non dire mediocre)? Che poi di questi tempi anche una vita “mediocre” non è scontata ed anzi, a suo modo è un’ambizione.
Sono curiosa di sapere come funziona il vostro processo creativo. Immagino sia difficile realizzare un lavoro così completo stando in città diverse. So che ognuno di voi partecipa alla scrittura dei testi, chi si occupa invece degli arrangiamenti?
Il nostro processo di scrittura parte quasi sempre dalla musica. Si propone una melodia, un giro di accordi o un pattern di batteria e da lì si prosegue con diverse proposte di arrangiamento che poi vengono adattate a seconda del testo. Partecipiamo tutti agli arrangiamenti (collettivamente) e ai testi (individualmente). Per fortuna abbiamo trovato un nostro equilibrio cercando di fare della distanza un punto di forza.
Ultima domanda, se doveste descrivere Origami a qualcuno che non conosce la musica dei Botanici, che cosa gli direste?
Ad un adolescente o ad un coetaneo diremmo che è un disco che parla probabilmente di ciò che vive anche lui. Diremmo che suona diverso da ciò che più facilmente ascolta in giro. Ad un adulto diremmo che è una finestra che affaccia su una generazione che può essere difficile da comprendere. Diremmo che è un disco che però parla chiaro e quindi, con non troppo impegno, può essere compreso anche da lui.
Grazie per la chiacchierata!
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