Venerdì 17 marzo è uscito su tutte le piattaforme digitali “Riding Monsters”, il nuovo album di Henry Beckett, di ritorno dopo la pubblicazione del primo EP “Heights” nel 2017.
Nove tracce quelle di Henry Beckett, che solcano le onde del suo universo introspettivo e profondo. I testi dei brani hanno una forte ispirazione autobiografica e delineano un chiaro ritratto della personalità del cantautore “milanese ma di anima americana”.
Henry è alla ricerca del suo posto nel mondo ed è in lotta costante con le difficoltà che fanno da freno al raggiungimento dei suoi obiettivi.
Nonostante questo, in brani come Riding Monsters, Some People Get Lost o Blackbird ciò che viene messo più in luce non è la frustrazione dovuta ai numerosi ostacoli, ma la voglia di conoscersi anche attraverso tali difficoltà in modo da familiarizzare con esse per trasformarle in qualcosa di positivo per sé. Vince dunque la forza e la voglia di rialzarsi sempre, combattendo il più possibile contro la rassegnazione e il senso di impotenza che spesso ci portano a rimanere seduti ad aspettare che sia il caso a spostare i nostri binari sul tracciato giusto.
È proprio questo il pensiero che viene rappresentato nella foto di copertina, in cui primeggia, appunto, il bisogno di reagire prendendo il controllo degli eventi.
Eravamo curiosi di conoscerlo, e gli abbiamo chiesto come ha trovato la scena musicale dopo questo lungo periodo di assenza. Ecco cosa ci ha risposto!
Come hai ritrovato la scena musicale dopo il tuo lunghissimo periodo di assenza? C’è qualcosa che hai lasciato nel 2017 e che speri di recuperare?
Ultimamente stavo riflettendo proprio su questo, che si traduce più o meno in cosa è cambiato tra il prima e il dopo Covid. Un po’ tristemente mi verrebbe da dire che oggi la scena musicale sia molto densa, ma allo stesso tempo un po’ in stallo. Sostanzialmente: tanti artisti ma poco movimento tra il pubblico.
All’origine di ciò io ipotizzo tre motivi, da prendere con le pinze perché ognuno ha specifiche distorsioni nelle proprie percezioni. Uno, la proposta musicale emergente è sì oltremodo vasta, ma allo stesso tempo è poco varia. Quindi, al netto del valore di ciascun progetto, è difficile affezionarsi alla musica di un singolo artista o band (uguale: “effetto skip”).
Due, la musica sembra sempre più una dimensione “satellite” nella vita delle persone: almeno per quanto riguarda la mia generazione, le priorità sono più concentrate sul trovare la propria direzione e meno sullo svago e il tempo libero che quasi diventano più un regalo che ci si fa piuttosto che un bisogno fisiologico per vivere meglio.
Tre, sempre per le stesse persone, come mi ha suggerito un mio caro amico del settore, col Covid ci si è resi conto che stare a casa con un telecomando con mille consigli da parte delle app installate su cosa guardare… non è così male. Quindi ci si muove sempre meno alla scoperta di nuovi stimoli, come nuovi artisti da sostenere.
Sembra una visione senza luce in fondo al tunnel, ma io la vedo più come un momento di down che ritroverà la sua impennata.
Per quanto riguarda il voler recuperare qualcosa che ho lasciato… no, direi che il futuro sarà molto più interessante.
E in un periodo dove tutti cercano di ridurre le pubblicazioni al minimo, con singoli ed EP, tu arrivi con un album, in controtendenza. Come mai questa scelta? E a che periodo fanno riferimento questi nove pezzi?
Forse è stata più una via di mezzo. Infatti, nel 2022, ho pubblicato quattro canzoni che già anticipavano l’intero album.
Avrei potuto proseguire rilasciando solo singoli, ma ci tenevo a fare uscire le rimanenti cinque tracce insieme: sono brani che tengo nel cassetto da tanto tempo e in più volevo anticipare il giorno in cui produrrò nuove canzoni (vi confido che alcune sono già in attesa di essere arrangiate).
Inoltre, credo sia utile per il pubblico potersi fare un’idea più chiara e definita di un nuovo cantautore grazie all’ascolto di un suo intero album.
I brani di Riding Monsters raccontano un po’ il mio periodo da ventenne uscente dall’università che poi si ritrova in mano una laurea che non lo rappresenta appieno. Per questo la maggior parte parla del bisogno di inseguire sogni e passioni affrontando tutti i rischi e le difficoltà conseguenti alla rinuncia di un percorso relativamente più definito, come quello pronosticato dagli studi universitari o da altre carriere precedentemente avviate.
E in questi sei anni di assenza, ci riesce abbastanza difficile credere che tu abbia scritto solo nove pezzi. Come mai hai scelto proprio questi?
La scelta dei pezzi è stata frutto di un lavoro a quattro orecchie tra me e il mio produttore Max Elli. Al tempo gli avevo presentato più di una ventina di brani registrati chitarra e voce. Abbiamo poi fatto una selezione sulla base dei più funzionali al momento e dell’organicità del disco. Per alcuni è stato più che immediato assegnare un posto sicuro nella tracklist. Invece, la rinuncia di altri è stata difficoltosa, ma questo non esclude che magari in futuro si rispolveri qualcosa!
Ti pesa mai esser frenato dal pubblicare musica nuova? (magari dall’etichetta o da logiche di marketing, o altri motivi…)
Assolutamente sì: è estremamente difficile per un cantautore rimanere focalizzato per mesi, se non per anni, sugli stessi testi e melodie. È una situazione che frena anche la creatività per via della frustrazione causata dallo scrivere tanto ma far ascoltare poco.
Io fino al periodo del Covid scrivevo in media almeno un brano a settimana. Poi ho sentito un freno tirare. In parte, direi, proprio per questa dinamica che rischiava di farmi più odiare che apprezzare il processo creativo. Ma meglio così: mi sono dedicato principalmente a Riding Monsters che, nonostante il tempo passato, amo ancora tanto, e sto accumulando tante sensazioni e pensieri che sono sicuro mi aiuteranno nella scrittura al momento giusto.
Chi è Henry Beckett nel 2023?
Uno che ha smesso di sognare di istinto perché sogna convinto. YO!