I balconi delle case è il nuovo singolo di Flora, uscito il 29 ottobre in distribuzione da Artist First.
Dopo il singolo Serenità, la cantautrice romana Flora torna a raccontarsi e mettere in musica i pensieri e le sensazioni che l’hanno accompagnata nel periodo della quarantena del 2020.
Ciao Flora, siamo molto contenti di poterti intervistare!
Iniziamo con la domanda di rito: chi è Flora?
Ciao a voi e grazie per questa intervista! Flora è una ragazza con molti sogni e ancor più obiettivi.
Una persona che cerca di mantenere la spensieratezza che aveva da bambina, una persona alla quale piace stupirsi quotidianamente, entusiasmarsi anche e soprattutto per piccolezze, per quei momenti brevi vissuti in maniera intensa.
Ho un’indole estremamente positiva anche se spesso mi lascio annegare, magari solo momentaneamente, nell’oceano dei pensieri e dei momenti bui.
Credo nella solidarietà, nella fratellanza e nella sorellanza, nei diritti universali, sono femminista.
Amo la quotidianità, osservare i gesti delle persone, le storie degli altri, gli sviluppi delle relazioni altrui. Mi piace vivere con consapevolezza e introspezione tutto quello che accade nella mia vita e raccontare tutto ciò nelle canzoni.
Ho cominciato a suonare il pianoforte a sette anni e a 16 ho deciso che avrei fatto della musica la mia vita. Dopo il liceo ho preso la laurea in Conservatorio, ho conseguito un Master in Songwriting a Londra, poi sono tornata a Roma e ho studiato didattica della musica.
Oggi vivo a Milano, insegno, scrivo per me e per gli altri, continuo a formarmi musicalmente con la stessa curiosità di sempre. Nel 2019 è uscito il mio primo Ep, Si vedono i fiori, e da allora sto costruendo tassello dopo tassello, con entusiasmo e passione, la mia carriera da cantautrice.
Il 29 ottobre è uscito il tuo singolo, “I balconi delle case”, ispirato al periodo del lockdown se ho capito bene. Com’è andata e come ha influito sulla tua musica?
Durante il primo lockdown mi trovavo a Roma a casa della mia famiglia per la quale nutro un sincero amore. Passare le giornate chiusa in casa con loro non è stato dunque affatto traumatico tra cene, pranzi, vino, colazioni in giardino, allenamenti in compagnia e anche discussioni sempre costruttive.
Dal punto di vista musicale è stato un periodo prolifico: mi sono trovata a vivere una quotidianità del tutto opposta alla mia solita vita generalmente molto frenetica, ho avuto molto tempo a disposizione da dedicare a me e alla mia passione, ho studiato, ascoltato, riflettuto e infine sublimato le mie riflessioni relative a questo periodo un po’ fuori dal tempo nella scrittura di tre canzoni accomunate dal rimando più o meno velato ad alcuni aspetti del lockdown.
È stata invece difficile la lontananza da quelle persone che non erano con me, mi è mancata terribilmente la dimensione live del mio mestiere, la vicinanza fisica con il pubblico e con i miei allievi di musica. Ho sofferto la perdita di persone che amavo. Forse proprio da questa sofferenza è scaturita la necessità di scrivere.
Torniamo all’immagine dei balconi, so che ti interessano particolarmente…
Più o meno da sempre quando cammino per le strade di una città, tra i vicoli di un paese di pochi abitanti, su uno stradone di provincia o tra le vie della più grande capitale europea, lo faccio per lo più con lo sguardo rivolto verso l’altro.
Guardo i balconi delle case con i loro panni stesi, le piante e i fiori, osservo gli episodi di vita quotidiana di cui sono teatro e invento storie, ipotizzo legami, creo mondi immaginati. I balconi hanno sempre esercitato un’attrattiva prepotente su di me stimolando la mia vena creativa.
Poi con il lockdown i balconi hanno acquisito quella valenza che noi tutti conosciamo e sono diventati un piccolo affaccio sul mondo esterno in un terribile momento di privazione e ho deciso per questo di inserirli, seppur con una valenza differente, come elemento caratteristico delle strofe di un pezzo che avevo cominciato a scrivere tempo prima.
I balconi delle case è un brano scritto a rate: ho composto parte del ritornello prima di un sound-check al noto locale milanese Apollo, sul pianoforte verticale trovato in una stanza. In quel periodo della mia vita stavo vivendo una storia d’amore unilaterale che mi distruggeva. Io ero pronta a vivermi tutto quello che sentivo, lui no. Lui aspettava il tempo, l’anno, il giorno giusto per noi. Io aspettavo il momento in cui si sarebbe reso conto che l’anno, il tempo, il giorno giusto non esistono.
Hai girato l’Europa, da Ostia a Essen passando per…? Come cambia il fare musica nei diversi luoghi in cui hai vissuto?
Ho cominciato a viaggiare nel momento in cui ho vinto la borsa di studio Erasmus grazie alla quale ho vissuto sei mesi ad Essen, frequentando la Folkwang Universität der Künste e seguendo i corsi di Jazz. Ero al il mio terzo anno in Conservatorio e non esagero ammettendo che quell’esperienza mi ha cambiato la vita. Ritrovarsi totalmente sola in un paese straniero, vivere cercando di cavarsela pur non conoscendo affatto la lingua, conoscere così tante persone provenienti da così tanti posti diversi del mondo..la Germania è stata una meravigliosa sfida. Al mio rientro in Italia la voglia di continuare a relazionarmi con culture, modi di vivere diversi dal mio, unita alla grande voglia di approfondire i miei studi in campo di Songwriting, mi ha portata a Londra. Qui ho vissuto con la mia parte di famiglia giamaicana alla quale sono molto legata, ho preso un Master in Songwriting, ho conosciuto tante persone e musicisti che sono diventati parte integrante della mia vita, tasselli imprescindibili per il mio percorso umano e professionale. In Germania ho studiato in un ambiente accademico molto rigido, ho imparato a scrivere canzoni, in Inghilterra ho affinato la mia scrittura, ho suonato molto, ho cominciato a vivere di musica.
Rispetto alla mia esperienza italiana, in Germania, ma in particolare a Londra, vigeva un ambiente di cooperazione e poca competizione, anche in ambito accademico.
Nella capitale inglese c’è una tale varietà e quantità di talenti che ognuno ha la possibilità di imparare dall’altro e di contribuire a sua volta alla crescita professionale altrui. Ho amato questo aspetto talvolta assente in Italia dove ancora ancora si pensa troppo a sovrastare piuttosto che a collaborare in un meccanismo di gelosie e rivalità che non riesco a comprendere.
La tua è una musica fresca, ma allo stesso tempo malinconica. Quali sono le influenze che più ti hanno segnata?
Sono crescita sulle note dei più grandi cantautori italiani di cui ho praticamente imparato l’intera discografia a memoria. In casa mia si ascoltavano Giorgio Gaber, Battisti, Dalla, Guccini, De Andrè, Rino Gaetano, oltre all’immancabile Renato Zero.
Questi ascolti hanno per forza di cose influito sul mio modo di concepire la forma canzone. Crescendo poi ho ampliato i miei orizzonti rimanendo comunque fedele alla musica italiana cantautorale ben scritta. Oggi ascolto Calcutta, Levante, Joan Thiele.
Anche il fatto di aver sempre suonato il pianoforte ha influenzato il mio modo di scrivere canzoni. Tutti i miei pezzi infatti nascono in primo luogo dalle note del mio strumento, solo successivamente vengono vestiti di suoni e arrangiamenti.
Cosa c’è nel futuro di Flora? Ti possiamo ascoltare dal vivo?
Anche se ancora non posso svelarvi il titolo, vi dico che sicuramente arriverà un nuovo singolo che chiuderà le uscite legate al rimando al lockdown.
Sarà un brano diverso per tematica da quelli già usciti, meno spensierato, in un certo modo più profondo.
Affronterà un tema a me molto caro che spero di veicolare al meglio. Spero poi che il nuovo anno possa portare con se l’uscita del mio primo album. Ho già tante tracce scritte che aspettano solo di essere inserite in un disco.
E sì, certo che mi potrete ascoltare dal vivo! La dimensione live del mio mestiere è quella che amo di più e quella di cui ho sofferto più la mancanza in questo periodo di pandemia. L’11 dicembre mi troverete in full band al Wishlist di Roma per un live insieme ad altri due progetti nati sul litorale romano: I Senna e i Disco Zodiac.