Nella cornice del Rome Psych Fest 2018 (di cui vi abbiamo raccontato ieri) siamo riusciti a scambiare quattro chiacchiere con uno degli artisti italiani più poliedrici di sempre: Davide Toffolo. Frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, deus ex machina dell’Istituto Italiano di Cumbia, talentuoso autore di graphic novel… In una parola: inarrestabile (e infatti ci sono serviti ben due redattori).
Davide, io soffro di morbo della cumbia come te. Sono molto emozionata oggi, perché è anche merito tuo se riesco ad ascoltare buona cumbia da un paio di anni. Quindi inizierei con una domanda di rito. Come ti sei avvicinato alla cumbia?
Ah sì? Dai… grande!
Per me è stato una specie di innamoramento, iniziato vent’anni fa con il mio primo viaggio in Argentina. Sono andato a Buenos Aires durante la fortissima crisi economica, perchè la mia Regione (il Friuli Venezia Giulia, ndr), essendo regione di emigranti, aveva deciso di organizzare un incontro fra artisti del Friuli e ragazzi argentini di origine friulana, appunto.
Insomma, per la prima volta ho visto il Sud America e in giro si sentiva solo cumbia villera. Non so se mi piaceva veramente, però aveva una sua dimensione sociale molto forte. Negli anni poi ho capito di più e qualche anno fa ho avuto un ulteriore colpo di fulmine a New York, in un club di jazz nel quale con i TARM abbiamo conosciuto una band di cumbia tradizionale colombiana… Sono tornato a casa con la voglia di fare anche io una cumbia. E l’abbiamo fatta (con i TARM, ndr). Da lì mi sono appassionato all’idea di questa musica migrante, che si sposta… è stata la chiave per capire tante cose. Dico la verità, anche la possibilità di ascoltare musica in modo così “facile” come oggi, mi ha permesso di ascoltare davvero tanta cumbia.
Beh, “migrante” lo è veramente, così come è musica di denuncia sociale (pensiamo anche ad esempio alle commistioni con la murga)… Anche nel tuo fumetto fai fare un viaggio al lettore fra le mille cumbie esistenti, quasi in modo pedagogico… Credi che la cumbia possa essere un modo per veicolare – o possa aiutare – il messaggio che “meticcio è bello”, che l’incontro fra culture arricchisce?
Beh… Ti dico subito di si! Effettivamente quel messaggio è forte nella cumbia. Ha una natura tripartita: una componente andina, una africana e una europea, spagnola. È davvero una musica di mescola vera. In questo viaggio la scoperta più forte è stata quella che oggi, soprattutto fra gli artisti più giovani, c’è la consapevolezza di un’identità continentale, cosa non automatica dato che i singoli Paesi del Sud America hanno loro identità molto forti. È una musica marginale, quasi considerata “pericolosa”, anche se ora sdoganata. Poi c’è questa visione di incontro fra elettronica e folklore che arricchisce ancora di più l’idea di una musica che cambia, cresce ed evolve nel tempo.
Passando all’Italia, possiamo iniziare a vedere un po’ quello che ci racconti rispetto al Sud America. Il panorama cumbiero italiano è davvero molto vivo, come ci dimostra anche l’esperimento dell’Istituto. Possiamo veramente dire che si fa cumbia da nord a sud, da Milano alla Puglia, passando per Genova e Roma. Tu che sei un po’ il “cacciatore di teste” per quanto riguarda queste realtà, ci dici se hai recentemente scovato nuovi artisti interessanti?
Negli ultimi anni c’è stato un grande avvicinamento di molti artisti a questo ritmo e a questa idea. Nell’ultimo volume dell’Istituto Italiano di Cumbia abbiamo 17 artisti da tutta Italia. Non so se si possa definire ancora una “scena”, ma c’è qualcosa di vivo, che servirà forse anche al recupero di un’identità folkoristica regionale.
Noi speriamo in un tuo fumetto futuro, in viaggio nella cumbia italiana…
(sorride) Si, già in questo episodio abbiamo dei personaggi significativi, come i Cacao Mental, esempio di diaspora sudamericana, che vede già altri artisti internazionali fichissimi, come Nicola Cruz e i Dengue Dengue Dengue. Rispetto ai Cacao Mental, la cosa interessante è la presenza di un cantante portatore di un’idea e una vocalità tipica del Perù amazzonico, unito ad un know-how sullla tecnologia che è prettamente europeo.
Andando sui “big”. Bellissima esperienza con Jovanotti, adesso l’esperienza con i Punkreas. Sono esperimenti per espandere la portata della cumbia in Italia, avvicinando ascoltatori generalmente interessati a altri generi?
Chissà se diventerà mai mainstream… È sempre stata una musica marginale, popolare… Sarebbe bello e penso che quella cosa che produce, quell’impossibilità a star fermi, forse è qualcosa che aiuterà.
Impossibile contare tutte le cose che stai facendo in parallelo alla cumbia… la collaborazione con i Sick Tamburo, i Punkreas, l’ultimo singolo con i Tre Allegri Ragazzi Morti. Come fai a tenere insieme tutte queste cose?
BOH! Sono fortunato perché rispetto ad altri sono in giro da tanti anni, sono uno zingaro e ho avuto la fortuna di conoscere tante persone. Ci sono band che si muovono dentro al loro furgone e non gliene frega un cazzo di quelle che succede, per i TARM non è mai stato così. Abbiamo sempre immaginato questo viaggio in Italia come un insieme di incontri, con il pubblico e con gli altri musicisti. Abbiamo immaginato La Tempesta Dischi come una possibilità di autoproduzione che mettesse al centro gli artisti e non la struttura, tanto che la nostra non è propriamente un’etichetta, ma più un collettivo. La mia natura di girovago mi fa fare cose tipo appunto dire ai Punkreas che la cumbia è figa e fargliela fare.
Veronica è convinta che hai un piano segreto per convincere tutti gli artisti italiani a fare cumbia…
(ride) Beh poi in fondo la cumbia è vicina al punk, è orizzontale, popolare, come lo era il punk italiano… Non so se riuscirò a convincere tutti ma vediamo!
Dopo ‘Caramella’ (nuovo singolo dei TARM, ndr) che succede?
Beh un’altra sorpresa e poi un album, che è in cantiere… E un tour da annunciare, il treno dei TARM si è rimesso in moto. Ma ne parliamo alla prossima intervista.
Dopo l’intervista ci godiamo la presentazione della graphic novel ‘Il Cammino della Cumbia’, ultimo lavoro di Davide. Una sorta di reportage mistico/musicale che documenta 8500km di strada percorsa in Sud America, in compagnia di Paulonia Zumo e Nahuel Martinez (in arte Paquiano), alla ricerca delle radici della cumbia. A partire da un itinerario disegnato su una gigantesca mappa appesa al muro di casa.
Del fumetto a colpire sono molte cose, a partire dalla tecnica utilizzata. Per la prima volta Toffolo ricorre infatti al disegno digitale, scelta obbligata mesi fa a causa di un problema di salute, quasi superato, ma che non fa rimpiangere il suo stile, ancora decisamente riconoscibile… e per di più questa volta a colori.
Un altro elemento davvero interessante è la varietà di punti di vista dai quali guardare questo lavoro, che possiamo definire poliedrico come l’autore.
È una “guida all’ascolto” per i seguaci della cumbia, ma è anche una riflessione sul ruolo che la musica ha giocato nel passato e che gioca tutt’ora nella società.
L’escamotage di fare agli oltre 100 personaggi incontrati le stesse 13 domande è a sua volta quasi un elemento da ricerca sociologica. Impossibile poi non citare il lato mistico, con i racconti dei santi e dei demoni incontrati nel corso del viaggio e l’immancabile lato intimistico, introspettivo, affidato ai protagonisti.
Insomma, un fumetto dai mille risvolti, con tante sorprese. Da leggere, contemplare, approfondire. A ritmo di cumbia, ovviamente.
di Veronica Boggini e Damiano Sabuzi Giuliani, foto di Laura Colarocchio