Abbiamo fatto due chiacchiere con Domenico Barreca, in arte Barreca, per farci raccontare qualcosa del suo primo disco da solista “Dall’altra parte del giorno”.
Uscito lo scorso 19 gennaio per la Muziko Srl, Dall’altra parte del giorno si ispira alla tradizione dei grandi cantautori italiani. I dieci brani interpretati da Barreca sono caratterizzati da atmosfere intime, a volte più introverse e riflessive, e confezionati con una grande attenzione alla cura dei particolari e alla tecnica.
Autore dei brani, registrati presso l’Artetica Recording Studio di Rizziconi (RC), è Benedetto Demaio (che è anche docente di arte e content creator per diversi brand), mentre la produzione è del musicista Riccardo Anastasi.
Ma lasciamo subito la parola a Domenico per scoprire lavoro e sensazioni dietro la realizzazione del disco.
Domenico, siamo a pochi giorni dall’uscita del tuo primo disco solista, ma la musica ha sempre fatto parte del tuo percorso artistico e umano. Ricordi se c’è stato un episodio, un evento o semplicemente un momento in cui hai deciso che la musica sarebbe stata la tua vita?
La mia natura inquieta ed introversa non mi permette di esprimere pienamente tutte le emozioni che mi circondano, e la musica, fin da bambino, mi faceva evadere nel rifugio ideale.
Non ho mai avuto ambizioni di successo o sovraesposizione attraverso l’arte, anzi, immergermi pienamente anche nell’ascolto di un brano, continua a salvarmi la vita.
Tra gli episodi, ricordo un omaggio a Luigi Tenco di qualche anno fa in teatro, stavo reinterpretando “Ho capito che ti amo”. Ecco, lì mi sono sentito in piena connessione con tutto ciò che mi circondava, era come mettersi completamente a nudo.
“Dall’altra parte del giorno” ha alle spalle un’accurata produzione. La cura dei particolari è evidente, come mi sembra evidente che ci sia stato dietro un bel lavoro di squadra. Ci vuoi raccontare da chi è composta questa tua “squadra”?
Dall’altra parte del giorno è nato grazie alla sana ostinazione di un lavoro di squadra durato quasi tre anni. Aggiungo che non sono un cantautore, anzi rimango un piccolo artigiano al servizio della musica. I brani sono stati composti da Benedetto Demaio, che ha una capacità di scrittura e sensibilità fuori dal comune, e arrangiati e prodotti sapientemente da Riccardo Anastasi.
Sarò sempre grato a loro, in primis perché ci lega una grandissima amicizia e poi perché hanno costruito su misura e con una minuzia incredibile, una trama di storie vissute, riflessioni, speranze, sogni e sana malinconia, tanto da potermi tranquillamente definire “L’interprete di me stesso”.
I due videoclip realizzati per i brani La parola noi ed È tutto qui portano la firma di Giacomo Triglia, uno dei registi di video musicali più importanti a livello nazionale. Ci tengo infine a menzionare Davide Furfaro, che con i suoi scatti e la giusta sensibilità, ha immortalato ogni mio passo e singole espressioni di questi mesi intensi.
Sì, davvero un bel risultato, il vostro, che siete riusciti a raggiungere anche nonostante le difficoltà che questo periodo ha causato e continua a causare nel lavorare “insieme” agli altri. Ti chiedo allora se il pressoché totale blocco delle attività musicali, almeno quelle pubbliche, ha influito anche sui contenuti, sulle dinamiche della gestazione e realizzazione del disco.
Tralasciando le innumerevoli difficoltà che purtroppo anche il mondo dell’arte sta vivendo, il nostro è stato un lavoro che ha subito diverse pause e rallentamenti, anche perché non ci siamo mai imposti delle scadenze. Tutto questo ha dilatato si i tempi, ma c’è stata la cura, quasi maniacale, per ogni singolo brano. Per farti capire, Non esistono canzoni felici, uno dei pezzi dove Barreca viene fuori in modalità “libro aperto”, è nata a disco completamente chiuso, questo è stato uno dei motivi per cui ne abbiamo posticipato l’uscita a gennaio, diciamo per una “giusta causa”.
Ne è venuto fuori quasi un concept, che descrive un trentaquattrenne alle prese con i propri sogni inquieti e un amore quasi ostinato, ma anche con parecchie zone d’ombra che vengono messe in risalto in maniera autentica.
Una menzione a parte la merita la tematica che abbiamo affrontato in un brano come La nudità, è stato un vero pugno allo stomaco mettermi alla prova, descrivendo in maniera logorante una violenza psicologica subita da una donna.
Il disco è stato volutamente realizzato con strumenti acustici e, diversamente dalla tendenza degli ultimi anni, fa pochissimo uso di campionature ed elettronica. Questo tipo di scelta è stato dettato da una tua esigenza? Oppure è stato un qualcosa che è venuto fuori spontaneamente in fase di produzione? O magari… entrambe le cose?
Anche sotto il profilo musicale, volevamo che ogni singolo brano fosse coerente con il mio gusto musicale, per certi versi, volutamente anacronistico. Il merito va sicuramente a Riccardo Anastasi, anche per averne colto le sfumature, mettendo la mia voce al servizio del testo, quasi spogliata, asciutta.
Ogni canzone doveva essere interamente suonata dalla prima all’ultima nota da musicisti in carne ed ossa.
E i musicisti variavano in base al tipo di sound che il brano richiedeva. In studio poi si respirava un’atmosfera magica, nata dal grande privilegio di poter creare musica solo per il gusto di farlo. Per i mixaggi dei brani ci siamo affidati a due grandi protagonisti della produzione discografica italiana, Marco Borsatti (che ha lavorato per Vasco Rossi, Irene Grandi, Stadio) e Taketo Gohara (Brunori, Elisa, Vinicio Capossela – di lui avevamo parlato qui n.d.r.).
Tra le tue esperienze musicali è forte la quasi “devozione” per un certo tipo di cantautorato italiano. Negli anni, con le tue interpretazioni, hai reso omaggio a grandissimi nomi, quali Dalla, De Andrè, Endrigo, Tenco, come tu stesso hai appena ricordato. Ma c’è qualcuno, non necessariamente uno di loro, che ti ha influenzato in maniera particolare?
Questa devozione, come dico spesso, la vivo in maniera viscerale. Gli artisti che hai citato per esempio, mi regalano ancora oggi tanta bellezza da riversare nella semplicità delle piccole cose. Magari è la mia forma d’amore più autentica. Alla “lista” aggiungo assolutamente Ivano Fossati e Niccolò Fabi, hanno la capacità di “analizzarmi” come pochi. Ascoltarli nei loro live, infatti, è stato come affrontare delle sedute di psicanalisi, con tanto di lacrimoni.
Quanta importanza hanno nella tua crescita professionale e personale i progetti Nabana e Madamadorè, con i quali hai collaborato prima di intraprendere la carriera solista?
Sarò sempre grato ai Nabana, perché nell’arco dei miei vent’anni mi hanno permesso di realizzare un disco frutto di tanta sperimentazione, con un linguaggio apparentemente lontano dal mio mondo musicale ma con musicisti di grande livello. Tra i ricordi più belli di quella esperienza, ci fu la partecipazione al M.E.I. di Faenza.
I Madamadorè sono come una seconda famiglia, abbiamo avuto la fortuna di omaggiare la canzone d’autore italiana, girando in lungo e in largo la Calabria. I Madami hanno anche lasciato un’impronta nel nuovo disco, suonando in diversi brani.
Il tuo impegno nel mondo della musica è anche dietro le quinte. Parlaci un po’ dell’esperienza dell’Helldorado live, che immagino in questo periodo sia purtroppo ferma come tutti, ma che è stata artefice di importanti eventi negli scorsi anni nella provincia di Reggio Calabria.
Qui scatta, per forza di cose, l’”effetto nostalgia”. Sono stati anni di emozioni indescrivibili. Ci sono voluti passione, coraggio e anche un po’ d’incoscienza per poter realizzare quei grandi eventi. Tralasciando le innumerevoli problematiche, strutturali in primis, della mia terra, mi vorrei soffermare sulle migliaia di persone che arrivarono da tutta la regione per assistere ai live di artisti come Marlene Kuntz, Marta sui Tubi, Bugo, Ron, Paola Turci. Ma soprattutto per l’unico concerto in Calabria del tour Hai paura del buio nell’estate del 2014, degli Afterhours, nel magico scenario dell’anfiteatro di Palmi. Come dice la title track di questo disco, “Che poi domani forse ritorno”, non è un caso, anzi.
Vorrei chiudere questa chiacchierata con una tua riflessione personale sul brano che ha lanciato “Dall’altra parte del giorno”, e che è anche il mio preferito di questo tuo primo lavoro: “La parola noi”…
Ci tenevo in maniera particolare a raccontare il mio rapporto con il “Noi”. Tenuto sempre a debita distanza a causa di una vita costellata di silenzi, mancanze, ritorni e partenze. Poi appare Lei, con il suo bagaglio carico di fragilità e la sua bellezza stravagante. Senza accorgersene, arriva l’autenticità di cominciare a vivere in due, di condividere le cose più semplici, come un abbraccio intenso.
Anche quando il tutto finisce, il “Noi” trova rifugio nella mia tasca, come qualcosa di “pesante” da proteggere. Così abbiamo trasformato la mia storia personale in una sorta di messaggio d’amore universale.
L’importanza del passare dalla individualità alla pluralità, perché ogni cosa può assumere un suono diverso se lo si ascolta con la voce dell’altro. Ed è proprio nel confronto che ci si scopre nuovi e migliori. Anche questa volta, non è un caso se questo brano è uscito in piena pandemia.