Il 23 novembre 2020 è uscito il suo primo album solista e strumentale: “Sound My Way“ .
Antonio McFly Morelli è parte dei Baryonyx, nonché un compositore di musica elettronica che si tuffa per la prima in un progetto tutto personale, di cui ci confessa di avere già in mente un seguito.
Ciao Antonio. Domanda forse scontata: il tuo nome d’arte è un riferimento a “Ritorno al futuro”?
Ciao e grazie per l’intervista! Direi che hai colto nel segno: Ritorno al futuro è sempre stato tra i miei film preferiti e sicuramente uno di quelli che ho amato di più da ragazzo.
La scelta del nickname nasce da una storia un po’ curiosa: nel 2010 Facebook mise la possibilità di aggiungere un secondo nome al proprio profilo ed io, pur non avendone uno reale, misi di getto McFly.
In molti in quel periodo sostenevano che ci fosse una certa somiglianza tra me e Michael J. Fox ed inoltre entrambi suoniamo la chitarra elettrica.
Dopo quasi dieci anni posso dirti che non sono più riuscito a staccarmi questo nick di dosso e in un certo senso è diventato da sé il mio nome d’arte.
Ormai tutti mi conoscono come McFly, anche chi mi incontra per strada ormai mi chiama così.
Hai voglia di parlarci un po’ del tuo background musicale? Qual’è stata la tua formazione musicale, quali sono stati gli artisti che ti hanno influenzato?
Ho iniziato a suonare la chitarra nel 2006 e dopo due anni ho fondato la band Baryonyx, con cui ho avuto il piacere di fare molte esperienze sia live che in studio.
Nel 2013 ho iniziato a studiare chitarra elettrica all’Accademia Musicale Lizard e attualmente sono al terzo livello di scuola superiore.
Durante questi anni inoltre ho avuto la fortuna di collaborare con molte realtà; per citare due esempi, ho preso parte come chitarrista alla band del laboratorio artistico Trollslab di Pino Scarpettini e nel 2017 per la prima volta ho suonato le percussioni per un concerto del coro voci bianche e giovanile del Teatro Goldoni di Livorno.
Tutte queste esperienze sia accademiche che pratiche mi hanno portato dove sono oggi. Spero che in futuro ne avrò molte altre da poter raccontare.
Com’è nata l’ispirazione per “Sound My Way”?
Durante la produzione di Fuori il Blizzard (LP che ho prodotto con i Baryonyx), mi sono reso conto di avere una certa predilezione per la musica elettronica e lentamente ho iniziato a buttare giù delle rudimentali canzoni, che però non avevano un granché da dire e che sono rimaste per anni come progetti incompiuti all’interno del mio PC.
Nel 2019 riascoltando alcuni di questi brani ho pensato che non fossero per niente male e forse con qualche ritocco qua e là avrei anche potuto pubblicarli.
Ho pensato: “In fondo cosa ho da perdere?” e così nell’agosto 2019 ho pubblicato due singoli: Let Me Swap e Dream Clouds con l’idea che, con un po’ di impegno, avrei potuto pubblicare un intero album in quello stile.
Devo dire che visto il risultato sono contento di essermi “buttato”.
Cosa differenzia l’esperienza da solista rispetto all’esperienza in una band?
Come ti accennavo poco fa i due progetti sono diametralmente opposti dal punto di vista discografico. I Baryonyx fanno musica indie principalmente incentrata sui testi e su composizioni ben classificate nel genere pop/indie italiano.
La mia produzione personale è strumentale e completamente basata sulla libertà di composizione senza vincoli di genere musicale
Capisci dunque che mescolare le due cose era praticamente impossibile, ma abbandonare queste canzoni nel computer lo ritenevo davvero un peccato.
Da solo ovviamente è tutto diverso, per certi versi più complicato per certi versi più semplice.
È chiaro che dal punto di vista decisionale è tutto molto più veloce, perché non devi condividere le tue idee con nessuno, è anche vero però che si insinua sempre il rischio di cadere nell’autoreferenzialità, dove non hai altre campane da sentire rispetto alla tua opinione.
Sai dopo anni di vita di band un po’ mi fa strano non dover condividere qualcosa con altre persone.
Com’è vista la musica elettronica in Italia?
Contrariamente a quanto si pensa, secondo me, noi italiani abbiamo un’ottima reputazione a livello mondiale come compositori di musica elettronica.
Spesso anche non conosciuti, ma ci sono tantissimi artisti che producono vari generi elettronici, dalle classiche musiche dance fino all’ambient.
È un genere vastissimo che dà la possibilità di creare veramente qualsiasi cosa. Come dico sempre è un volano per chiunque abbia delle idee da sviluppare.
Spero nel mio piccolo di lasciare il segno o comunque un qualcosa nella discografia di questo genere.
Elenca tre album che come genere e stile si avvicinano a “Sound My Way”.
Devo dire che non è molto semplice, perché l’album è molto variegato, però alcuni album o canzoni che mi hanno influenzato molto ci sono.
Il primo sicuramente è Supernatural di Santana: la prima traccia (Da Le) Yaleo fu veramente qualcosa di straordinario nella mia testa, mi ha aperto ad un sacco di idee.
In generale mi è sempre piaciuto il rock latino di Santana, ma penso quella sia la mia canzone preferita. Quel sound è esattamente quello che si avvicina di più al disco o almeno è quello che spero di aver raggiunto.
Per le parti più elettroniche possiamo ritrovare qualcosa di simile (ma non proprio allo stesso modo) nella discografia dei Pendulum.
Il singolo The Island mi ha ispirato molto nelle mie produzioni elettroniche ed in effetti nel brano Empathy ho ricercato quell’ambiente musicale sotto alcuni aspetti.
Infine, un altro singolo che mi ha ispirato è senza dubbio Get Lucky dei Daft Punk, lo stile funky unito all’elettronica mi è piaciuto immediatamente e mi ha dato ispirazione come ad esempio per il brano Strum and Bass.
Nel tuo album è anche presente il singolo “Irish Soul”, che fra l’altro ha anticipato l’uscita del disco. Perché dedicare un pezzo proprio all’Irlanda?
Ho sempre ammirato la cultura e la musica popolare irlandese e non a caso negli ultimi anni ho iniziato a studiarne anche strumenti come l’ukulele, il mandolino e il bouzouki irlandese.
Quando ho iniziato seriamente a produrre pezzi miei ho sempre avuto come obiettivo principale quello di riuscire a creare un brano che rimandasse a quel sound immerso però nel mondo dell’elettronica e della musica contemporanea.
Ammetto che prima di quella ci sono stati vari tentativi falliti, sono oggettivamente due mondi all’opposto.
Quando ho trovato la combinazione giusta tra mandolino e piano elettronico ho capito subito che era lei la canzone che stavo cercando.
Dopo quasi un anno di lavoro tra continui accorgimenti e vari ritocchi per trovare il giusto equilibrio sono riuscito nel mio intento. Devo dire che in molti mi stanno dicendo che il pezzo rispecchia chiaramente il mio intento originale e forse per questo che è il brano che sta avendo più risonanza.
Ci dai qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti?
Sto già pensando al seguito di Sound My Way e ti confesso che ho varie idee in mente.
Mi piacerebbe continuare in qualche modo sul filone strumentale-elettronico, ma con l’aggiunta anche di componenti acustiche cercando di arrivare ad un livello ancora più realistico ed accurato a livello sonoro.
Ho già qualche bozza sul computer e sul telefono, per il momento mi godo il disco attuale fin che posso.
Grazie ancora per l’intervista, a presto!