Tra Lisbona e Londra, scrive canzoni in portoghese, italiano e inglese, canta nei bar e collabora con altrə artistiə.
Alix si trasferisce a Parigi in giovane età e studia letteratura, arti visive, recitazione e danza. Vive a Montmartre in un minuscolo appartamento, alternando mille lavori, mentre esplora lo stretto legame tra musica e performance.
Parigi non è una semplice casa: diventa un luogo dove si intrecciano ricerche artistiche, personali e politiche. È da questa intersezione che nascono la sua scrittura e la sua musica.
La voce di Elza Soares e Cesaria Evora, il suono di Mayra Andrade e Dino D’Santiago e il mix musicale di Lisbona lə porteranno poi nella capitale portoghese, dove la sua scrittura si impregna degli incontri fatti con artistə, collettivi queer e attivistə.
Il suo primo disco, firmato come Ali + The Stolen Boy, è uscito a inizio giugno. E noi abbiamo deciso di fargli qualche domanda a riguardo.
Alix, cosa ti ha spinto a trasferirti a Parigi?
Parigi è fin da piccolə la città che vedevo come la grande metropoli, piena di opportunità, piena di riferimenti artistici, visivi, musicali. Ho cominciato a frequentarla da adolescente.
È stato uno spazio nel quale proiettavo libertà, e la possibilità della persona che sono oggi. È stata una vera storia d’amore, e lo è ancora oggi.
Poi una parte della mia famiglia è francese, di Grenoble, mia madre ha fatto le scuole medie in Francia, prima di tornare in Italia. Andavo spesso a Grenoble, già da bambinə.
Sognavo Parigi. Poi mi ci sono trasferitə e, come dicevo, la mia relazione con la città è complessa. L’ho lasciata diverse volte, anche in maniera molto insofferente, perché sul lungo termine è un posto che può assorbirti molto. Ma poi torno sempre a vivere lì.
Mi ricordo quando sono arrivatə a Parigi, tutte le mattine correvo al parco e mi dicevo – OK, nel mondo, io sono qui. È qui che voglio fare musica, è qui che voglio creare e nutrire la mia ricerca artistica. Ero la persona più felice del mondo, era un sogno che sono riuscitə a realizzare. Ci sono andatə da solə, senza conoscere nessuno. È lì che mi sento davvero liberə.
Che ti hanno lasciato le comunità queer europee durante i tuoi viaggi?
Il sentimento di avere una casa in tantissime città in Europa (ride) è un vero privilegio! Anche le case nelle quali ho vissuto io le ho sempre messe a disposizione della comunità queer… dei veri porti di mare, non so quante persone abbiano le chiavi di casa mia! Forse in questo c’è un modello culturale, sociale ed economico alternativo che le comunità queer (ma in generale tutte le comunità marginalizzate) hanno costruito negli anni.
Come artista sentire di far parte di movimenti e di correnti che cercano col proprio lavoro di cambiare le cose o di spostare certe frontiere mentali e fisiche è qualcosa di estremamente vitale e ricco.
Racconti la tua storia ma sai che risuona con quella di altre persone e altrə artistə in posti del mondo molto diversi. Sicuramente spostarmi mi ha insegnato che ci sono dei contesti però molto specifici, per cui ogni scena queer è legata al contesto nel quale si sviluppa. La scena queer londinese è molto diversa dalla scena queer lisboeta, per esempio.
Poi abbiamo tuttə dei percorsi molto diversi, molto individuali, ed è importantissimo mettere l’accento sull’unicità dei percorsi, sia artistici che personali. Ma ci sono esperienze condivise che fanno da ponte e che ci permettono di costruire un’identità e dare un nome alle nostre vite quando la società quei nomi li cancella o li rende invisibili.
A volte vanno inventati. E, come artista, non c’è nulla che mi stimoli di più della sperimentazione e della trasformazione permanente. Penso che le comunità queer europee mi abbiano insegnato un metodo di composizione e di scrittura nella musica. La musica che faccio è estremamente fluida.
Cos’è accaduto, musicalmente parlando, prima del tuo progetto solista?
Musicalmente parlando, ho studiato canto ed è partito tutto da lì. Ho scritto e suonato nelle performing arts, per il teatro e la danza. Ho cantato in un gruppo funk. Ho scritto dei pezzi per altrə artistə, a Londra e a Lisbona.
E se proprio dovessimo incastrarti in un genere, quale sarebbe? (puoi anche inventarti un nome, ovviamente).
Bon courage, ti direi in francese. Cercare di incastrarmi in una categoria o in un genere musicale è sempre difficilissimo, prima di tutto per me. Devo pensarci…
Mi dicono che faccio pop sperimentale, art pop o post pop. Direi che non faccio musica per vecchi (e non c’entra l’età anagrafica).
Pop non per vecchi, può andare?
E ora?
È appena uscito il mio primo EP, Garçon Raté, e lo sto portando in giro, in Francia e in Italia, sto preparando i live per l’inverno e per il 2023 e sto già scrivendo un nuovo disco – un nuovo EP che verrà a completare questo primo.
Ci sono tantissimi progetti legati a questi due EP.
Sono gasatissimə.