Roma, 7 marzo 2019, è un giovedì inspiegabilmente vivo quello che mi accompagna nel tragitto che porta allo Sparwasser: questa sera suonano Ilenia Volpe e Il sangue dell’orso.
La cantautrice romana, per l’occasione, si presenta sia con il suo progetto omonimo, che, in apertura, con quello parallelo – Il sangue dell’orso, appunto –, band post-rock romana attiva dal 2017.
E quello che mi stupisce immediatamente, appena entrato nel locale, è il coraggio di questa band strumentale, creatrice di un muro di suono quasi ininterrotto per quaranta minuti, non proprio quello che ci si aspetta di trovare al Pigneto di questi tempi.
È la festa di Ilenia Volpe, non solo perché non ha nessuna intenzione di scendere dal palco dall’inizio alla fine della serata, ma anche e soprattutto perché festeggia il suo compleanno – non si dicono gli anni di una signora, vi basti sapere che il suo primo EP uscì nel 2004.
E probabilmente non poteva scegliere atmosfera migliore dell’intimo palco dello Sparwasser, le cui quattro mura fanno sempre sentire il pubblico a casa.
È lei stessa a spiegare questa scelta: “Ho deciso di passare il mio compleanno su un palco perché voglio vivere d’amore e per me questo è l’amore”.
“Urlatrice seriale con nulla da dire”, come si autodefinisce provocatoriamente, la Volpe da dire ne ha eccome, e lo fa con le canzoni dei suoi due album – Radical chic un cazzo (prodotto da Giorgio Canali nel 2012) e Mondo al contrario (prodotto da Gianluca Vaccaro nel 2016) –
Mischiando rock, noise, punk, grunge nirvaniano con aperture melodiche che mi ricordano il lato “duro” del cantautorato italiano anni Settanta (come in “Prendendo un caffè con mozart”), e soprattutto con una voce molto personale, graffiante e volutamente sgraziata, sulla scorta di una tradizione di ugole rock femminili di cui la musica italiana non può che farsi vanto (dalla Bertè alla Nannini).
di Malatesta foto Mattia La Torre