Qualche giorno fa mi trovavo nel negozio di un amico che vende roba che scotta… Vende musica nuova di pacca e fiammante, ma anche altri articoli attinenti alle bands e capita che alle volte arrivi qualcuno che vuole delle T-shirt, in questo caso, la signora appena entrata cercava una maglia taglia XS dei Guns’n’Roses per il suo pargolo e con una certa necessità diceva: “Sa ne ho bisogno! Voglio instradarlo! Voglio che ascolti solo buona musica!”
Io non ho potuto che pensare subito a mia madre.
Erano i primi anni ’90 ed ero un bambino di 11/12 anni con il chiodo e le Reebok Preseason che chiedeva una maglietta dei Guns N’ Roses, ma lei, mia madre, non li conosceva o al massimo conosceva la canzone “Old time rock & roll” di Bob Seger.
Quindi prendemmo il libretto del cd di “Use your illusion II” lo aprimmo a metà, lei si istruì, andammo dal tabaccaio e lo fotocopiammo, ingrandendo l’immagine del teschio con il cilindro ed io con impazienza aspettai che lei compisse il miracolo con i suoi pennelli, di trasformare una anonima maglietta bianca in un opera d’arte che mi faceva sentire veramente figo, e che oggi sarebbe da incorniciare ed esporre.
Basta con le nostalgie, sennò dovrei parlarvi anche dei figli del meccanico vicino a casa mia, dei loro vinili e la prima batteria, della mia prima chitarra e dei duetti a base di Patience che avrei eseguito nei bar di provincia anni dopo e pure di mio padre che si scazzava e li chiamava Ganzen Roses (Ganzi i Guns!).
Alla fine i Guns’n’Roses sono arrivati veramente vicino a casa mia (30 km), ci hanno messo 20 anni, però sono arrivati per la gioia e la nostalgia comune di 90.000 persone.
C’è stato chi si è piazzato davanti ai cancelli giorni prima, chi ha rispolverato bandane che erano chiuse dentro cassetti da anni ed ho visto addirittura amici con il Gilet dei Guns (una cosa iper anni 90).
Dopo una breve sosta per due birre al Bar Renzo vicino all’autodromo siamo entrati nel famigerato Gold Circle, mai un investimento di 15/20 euro in più fu tanto azzeccato, ringrazierò sempre la ragazza dell’aranciata che mi ha recuperato i biglietti per tempo .
Si riusciva ancora a girare e a sedersi.
Era dagli anni dell’Heineken Jammin’ Festival che non entravo a vedere un concerto, ma l’effetto è sempre bellissimo mentre ti volti verso la Rivazza e capisci la grandezza dell’evento.
Il team di Virgin Radio si presenta sul palco e da il via a chi ha il compito di riscaldare i motori, in questo caso Phil Campbell and the bastard sons (ex chitarrista dei Motorhead) e i The Darkness che quasi ad ogni cambio canzone fomentano il pubblico chiedendo se siamo carichi per i Guns’n’Roses.
Poi eccoli.
4 colpi di charleston e partono le due note alte di basso inconfondibili che si ripetono in progressione, il distorsore accompagnato da rullatine di batteria e Axl Rose giunge zompettando fuori sul palco.
” It’s so Easy ” L’incantesimo è rotto! Un dry spell che durava da 20 anni o più è annullato, non esisterà più solo Torino 1992 ora siamo ad Imola 2017 nel “Not in this lifetime tour” che nasce da una affermazione di Axl qualche anno fa quando gli chiesero se mai i Guns’n’Roses sarebbero tornati a suonare assieme.
I sogni alla fine si realizzano e alcuni come questo hanno un sapore bittersweet, perché ogni sogno ha un tempo.
Se avessimo visto i guns’n’roses nel 1996, il sapore sarebbe stato diverso, certo, ma a tutti va bene lo stesso.
il dolce è sentire quella voce e quella chitarra che hanno attraversato generazioni di walkmans e cassette doppiate, finalmente dal vivo, l’amaro è vedere che il tempo è passato per tutti e mentre la signora dei Goonies… Ops! Axl scusate!
Avanti e indietro cantando “Mr. Browstone” è impossibile non pensarlo e non abbozzare un sorriso mentre in un clima e un caldo quasi tropicale, per la terza volta esce goffo da dietro il palco con la camicia di flanella legata in vita, ancheggiando e indossando per di più un cappello di pelle.
Ma chissenefrega, come ha detto qualcuno… Io non bado alla forma fisica io bado al suono ed in fondo è vero, perché la scaletta è veramente bella e alla quarta canzone siamo già dentro il concerto.
Il palco è un tripudio di luci e video montati a dovere, una “Welcome to the Jungle” accompagna il calare del sole, creando una atmosfera unica. Bellissimo! Vengono snocciolate in sequenza “Live and Let Die”, “Rocket Queen “ e “You could be mine” c’è anche spazio anche per qualche brano di Chinese Democracy.
Il palco è immenso, ma tutti i componenti sono ben distribuiti, c’è anche un momento molto bello in cui Slash e Richard Fortus si trovano a duettare in mezzo alle nuvole una “wish you were here”.
Slash che non sembra accusare un minimo di stanchezza ci regala un assolo che attraversa il tema del padrino, fino a sfociare in “una sweet child o’ mine”.
Un bellissimo spettacolo, ma non voglio neanche credere al fatto che tutta la band dopo due ore, non si sia ancora accesa una sigaretta, la cosa mi stupisce non poco pensando alle interviste degli anni in cui, alcuni membri del gruppo bevevano una bottiglia di Jack Daniels al giorno, fumavano a dismisura e scopavano qualsiasi cosa si muovesse (citava quell’intervista).
Noi di sotto iniziamo a sentire il richiamo di un bagno (impossibile da raggiungere) e qualcuno fantastica di avere una borsa frigo o il tubo delle Pringles dove espletare una minzione alquanto riservata.
Siamo quasi alla terza ora di questo concerto che resterà memorabile , è il turno di “Knockin’ heavens door”, poi “Nightrain” e via con Black Hole Sun come tributo al recentemente scomparso Chris Cornell.
Slash si avvicina al punto più estremo del palco arpeggiando “Paradise City” e tra coriandoli bianchi rossi e verdi e fuochi d’artificio termina questo sogno.
Cerchiamo di sbolognarci gli ultimi “Token” prima di metterci in macchina e seguire strade alternative che ci faranno evitare un imbottigliamento da inferno.