Sabato 8 luglio, 30 gradi effettivi, “3000 gradi fahrenheit” percepiti. Una di quelle sere estive in cui i vestiti ti si incollano letteralmente addosso. Inforco lo scooter e sfreccio verso Viale Zagabria 1 per il concerto di Gazzelle al Covo Summer.
Io di Gazzelle non so assolutamente nulla se non qualche ritornello al sapore di zenzero e zucchero filato e il fatto che sia un cantautore romano. D’altra parte, è entrato sulla scena in punta di piedi, circondato da un alone di mistero costruito ad hoc, per poi esplodere con un disco (Superbattito) che l’ha subito fatto schizzare sulla vetta della musica indipendente italiana (uscito il 3 marzo per Maciste Dischi e prodotto da Leo Pari).
Inizio concerto ore 22.10
La band è già sul palco quando fa la sua comparsa Flavio Pardini (in arte Gazzelle), passo trascinato, capelli ossigenati e una maglietta degli Iron Maiden. Saluta il pubblico con il microfono appiccicato alla bocca e non capisco se abbia caldo, se sia stanco o semplicemente reciti la parte del personaggio annoiato. Attacca con Balena e Demodé, un connubio tra cantautorato e synthpop che fa venir voglia di saltellare; e infatti, in un attimo, la mia testa si mescola alle altre che fanno su e giù tra il pubblico, pubblico che, come immaginavo, recita a memoria ogni singola strofa. Continua, a sorpresa, con un inedito, con “una canzone che non esiste”, come dice lo stesso Flavio; ed è un peccato che non esista, o meglio, che non sia stata registrata, perchè Nero meriterebbe davvero di vedere la luce del sole. Nmrpm e Meltinpot, queste le conosco bene, ascoltate distrattamente e a ripetizione prima ancora di attribuire un viso a quella voce. Tra un brano e l’altro fuma, beve un sorso di birra, fa gag che non capisco e presenta i membri della band, con questo modo un po’ fiacco ma affabile, quasi stesse facendo due chiacchiere al bar con gli amici.
È la volta di Stelle filanti, uscito il 7 luglio e forse uno dei pezzi più riusciti e già uno dei più amati, considerato l’entusiasmo che suscita intorno a me. Malinconico e rassegnato, intona Greta alla quale accoda “e per te ogni cosa che c’è ninna na ninna e” di Jovanotti che, in effetti, ci sta come il cacio sui maccheroni. Quando attacca con Faccio un casino ci metto qualche secondo a realizzare che non si tratta di un suo brano ma di Coez: l’intento provocatorio potrebbe nascere dal parallelismo un po’ superficiale che viene spesso fatto tra i due. Un altro brano relativamente nuovo, il primo post-Superbattito, Sayonara che, secondo me, racchiude l’intera essenza di Gazzelle, tra un “però che noia decifrarti” e “hai distrutto il mio cuore di plastica”.
Momento nostalgia: con Gli Anni degli 883 si conquista tutto il mio amore e quello del pubblico; amore che lascia spazio al fastidio quando, con Zucchero filato, prende piede un pogo no sense che cerco di placare rovesciando la bottiglietta d’acqua addosso ad un ragazzo che forse pensa di essere ad un concerto degli Slayer. Finalmente Quella te e Non sei tu, brani spaccacuore ad alto tasso di malinconia che fanno viaggiare la mente verso luoghi nei quali forse non dovrebbe andare. Ultimo pezzo, un’altra “canzone che non esiste” che ti chiedi perché non esista dal momento che Un po’ alla volta è forse anche più bella dell’inedita precedente. Alle 23.05 lasciano il palco, chiaramente per farsi desiderare dal pubblico che chiede a gran voce un ultimo brano; rientrano dopo due minuti, con un atteggiamento un po’ da band leggendaria, per farci riascoltare Meltinpot.
Fine concerto ore 23.10
Torno a casa nel complesso soddisfatta. Flavio non suscita totalmente le mie simpatie ma il sound è coinvolgente e le canzoni mi sono entrate in testa quel tanto da farmi canticchiare “non ci vado più in discoteca, non ci vado più!”, mentre torno verso il centro in sella al mio scooter.