Sei al centro di un cerchio di fuoco fatto di gente che urla i testi delle tue canzoni, ti incita, alza e abbassa il braccio con la mano aperta come la bacchetta di un metronomo, disegnando la traiettoria del pendolo.
Un sistema fisico costituito da un grave (la loro mano), vincolato da una sbarra rigida (il braccio), che rimane a una certa distanza da un punto fissato (la spalla) e soggetto a una forza (la musica).
Non sono presenti attriti.
Il momento è come te lo immaginavi a sedici anni, quando guardando 8mile sognavi di prendere parte anche tu, un giorno, a quelle battle rap emozionanti, solo con la voglia di fare del cazzo di Hip-hop.
Quel giorno è il 18 aprile, non sei a Detroit ma nella periferia nord di Torino: Barriera di Milano è il tuo ring e non sei Eminem.
Sei Davide Shorty e sei nella platea dello sPAZIO211. Sul palco la band sta spaccando e passa dal Funk all’R&B senza problemi e tu pensi: cazzo! Ci sono.
Nel bel mezzo di un viaggio funk. E il meglio deve ancora arrivare. Sì, perché il pubblico ci sta così dentro che ti prende in spalla e tu ti appendi all’americana che, carica di faretti colorati, attraversa il centro della sala.
Anche il luciaio ha tremato un attimo di paura per poi lasciarsi portare dall’onda, che si infrange sulla battigia carica di ricordi.
Siamo in un’Italia all’inizio del nuovo millennio, sei nella tua cameretta e ascolti il disco di Frankie HI-NRG MC, componi i primi versi mentre MTV passa le immagini del video di un certo John Legend.
Fuori fa caldo, i palazzi in stile arabo-normanno ti fanno pensare di vivere in un luogo fuori dal mondo: non avresti mai immaginato che, a distanza di anni, grazie a quella musica fosse realmente possibile una fusione di culture, tanto che un ragazzo di Palermo, dei ragazzi di Torino e, perché no, uno di Pittsburgh, si potessero incontrare sullo stesso palco.
Quei ragazzi sono in realtà una band, i Funk Shui Project, che sulle onde della musica surfano nel tempo e nello spazio: dalla New Orleans degli anni ’50, tra hipster testa d’angelo (quelli veri, di Allen Ginsberg e Kerouac), all’asfalto dei Block Party di New York, al Rhythm & Blues di Renzo Arbore dell’Orchestra Italiana, al Funk di Pino Presti.
Quel ragazzo di Pittsburgh era Mac Miller, o meglio è, perché rivive attraverso questa buena vibra. Lasci il palco a Nutty Dub, che scalda l’atmosfera con i ritmi d’origine dominicana e i suoni di Medellin e ritorni per un freestyle sulle note di The next episode, di Dr. Dre feat Snoop Dogg.
E chiudi gli occhi e il pubblico urla e non ci credi ancora, hai paura di risvegliarti, ma questa volta non è un sogno, è la pura realtà.
Questo era il reportage narrativo e fotografico di Davide Shorty e i Funk Shui Project in concerto allo sPAZIO211 di Torino (B o n s a i eventi, #nonostantetuttoalberi), che hanno presentato il disco Terapia di Gruppo, edito da Macro Beats Records. Andate ad ascoltarli.
Di Mattia Muscatello
Foto di Federica Da Lio