Il concerto si è tenuto venerdì 16 luglio a Brisighella, nello splendido Anfiteatro Spada, dove Marc Ribot ha portato sul palco il suo ultimo album, “Hope”.
Come si fa a parlare del concerto di Marc Ribot?
È la domanda che mi sono posta lo scorso 16 luglio, mentre seduta sul secondo scalino della gradinata dell’Anfiteatro Spada di Brisighella, restavo letteralmente ipnotizzata dal concerto di Marc Ribot and Ceramic Dog.
Sul manifesto di Strade Blu, il festival che ha ospitato l’artista e che proprio quest’anno compie 20 anni , lo descrivono come “il loro chitarrista del cuore ancora in piena esplorazione”… e credo proprio che definizione non possa che
essere più azzeccata!
Per gli eretici, o semplicemente i distratti, questo chitarrista, ormai 68enne, ma che non li dimostra per niente, è una delle personalità più influenti nella storia della musica internazionale, un geniale esploratore del free jazz , del rock sperimentale ma anche della vera e pura improvvisazione libera.
Tra le collaborazioni per cui è maggiormente ricordato ci sono quelle con Tom Waits, Elvis Costello, Allen Ginsberg, Robert Plant, Elton John e anche con l italiano Vinicio Capossela (giusto per citarne qualcuna).
Insomma, rendetevi conto che, davanti a me non solo c’era un musicista eccezionale ma un vero e proprio monumento storico, quello che in gergo si chiama “mostro sacro della musica”.
Dopo aver seguito gli sviluppi del meteo per almeno 3 giorni, finalmente nel pomeriggio di venerdì le nuvole cariche di pioggia hanno abbandonato il cielo di Brisighella ed il palco è stato sistemato in poche ore per lo spettacolo serale.
Marc Ribot e i Ceramic Dog, Shahzad Ismaily al basso e Chess Smith alla batteria, compaiono sul palco in perfetto orario (senza aspettare nemmeno i ritardatari).
Dopo un primo momento per scaldare i motori in cui veniamo travolti da un
turbine psichedelico di improvvisazione jazz, ritroviamo un Ribot con la voglia di parlare e anche con toni non proprio pacati.
Questi brani di stampo blues/punk parecchio chiacchierati hanno testi viscerali, che mettono in discussione tematiche anche scomode come quella del riscaldamento globale, di un presidente non gradito e del Covid.
L’ultimo lavoro, Hope, è sicuramente un’opera non poco complessa. Sono brani crudi e ruvidi, che stimolano parecchio l’ascoltatore (lo dimostra il fatto che
si sono alzati dal pubblico parecchi “yeah” e “yes man” durante il concerto).
Insomma ci siamo trovati quasi un pò tutti a capire quello che voleva raccontarci Marc Ribot, specialmente durante la sua riflessione sul lockdown e sulle preoccupazioni per il futuro.
Il concerto si rivela una grande lunghissima improvvisazione trascendentale.
Ribot si trasforma continuamente in qualcosa di diverso, attraversando i confini del jazz per ricaderci dentro a suo piacimento ogni volta che vuole, grazie anche alle sue autorevoli capacità.
Non mancano scambi ironici tra i musicisti ed il pubblico che per tutto il concerto è entusiasta e attento.
A detta di tutti a fine spettacolo, la sensazione è stata quella di una vera apoteosi dei sensi, una esecuzione favolosa di un personaggio tra i più eclettici.
Si conclude tutto intorno alla mezzanotte, tra una standing ovation generale, una vendita di vinili sul palco e sotto un meraviglioso cielo stellato di Romagna.
di Uliana Piro