Martedì 2 Luglio, Roma, Sapienza, Convegno di Dipartimento, un caldo torrido e arriva la mail: confermato accredito per il concerto di James Blake al Teatro Romano di Ostia Antica.
Sei lì che dici che non ce la fai. D’altronde quel martedì ti sei svegliata alle 6, hai preso la macchina, fatto 300 km (si, ero in vacanza in Cilento). Sei arrivata alla Sapienza, hai presentato il poster che avevi preparato la settimana scorsa. Parlato di scienza fatta di cellule staminali e malattie ossee.
No, non ce la puoi fare.
Invece decidi di andare lo stesso. Ti imbarchi, ovviamente non da sola, perché non sei Superman e neanche Wonderwoman.
Arrivi, stranamente puntuale. Perché sì, sono una ritardataria cronica.
Chiacchieri con gli altri fotografi, che ti sembrano sempre più fighi di te, mangi Goleador alla liquirizia per non stramazzare a terra sotto il peso del tuo zaino e aspetti di essere traghettata verso il palco.
Entri, ti chiedono se vuoi un passaggio con la macchina, e, sempre perché non sei Wonderwoman, accetti. Continua a fare un caldo mortale, anche alle 9 di sera.
Sfiati.
Ma poi ti si apre uno scenario mozzafiato: antiche rovine romane, un palco meraviglioso e alle note di Wrongonyou corri sotto al palco. Perché sì, quel bravissimo ragazzone di Marco Zitelli apre la serata.
Il suono è pulito, l’acustica meravigliosa, e Marco è in perfetto equilibrio fra la consapevolezza di far respirare agli italiani una musica internazionale di livello e il portare il peso di aprire il concerto di un cantante di altissimo profilo.
Poi il cambio palco e noi poveri fotografi veniamo gentilmente indirizzati verso le tribune. Niente foto dal sottopalco. Ed è lì che ‘ansio’. Non è che proprio abbia sto cannone da 300 mm.
Ce la farò?
Il sole scende, il caldo non concede clemenza, però siamo ripagati dallo stupendo spettacolo delle antiche rovine al tramonto.
Poi sale lui, James. Inizia. Rimango estasiata, quasi dimentico l’ansia. Le prime note mi fanno ringraziare di non aver ‘bucato’ l’accredito.
Canto e ah, mi ricordo che devo scattare.
Non so tecnicamente come poter definire James Blake, forse non lo si può inquadrare nella concezione classica del compositore di musica elettronica. Va oltre, compone una musica che può essere cantata, ballata o semplicemente ascoltata con una buona birra in un antico Teatro Romano.
Un artista senza confini, che ci trasporta nel suo mondo liquido fatto di synth e voce distorta, senza mai andare fuori registro. Il pubblico, dapprima seduto, si alza e raggiunge il cantante sotto il palco. Come il Brucaliffo di Carroll, James ti porta a respirare la sua musica e chiederne sempre di più e lui non si risparmia.
Quasi mi dispiace dover lasciare il concerto, ma Wonderwoman è stanca e la aspetta un ‘piccolo viaggio’ per rientrare.
Ah, per concludere la serata sulla scia di come era iniziata, Wonderwoman e Superman sulla via del Mare quasi ci rimangono, perché al rientro si accende la spia sospetta della riserva.
Ma sono qui, sana e salva. Vi lascio con le foto della serata, siate clementi perché se avessi potuto mi sarei lanciata sul palco e vi avrei regalato degli scatti più intimi.
Ma poi a ripensarci, forse è giusto così. D’altronde Alice non riceve nessun conforto o aiuto dal Brucaliffo ed è per questo che ne siamo tutti rapiti.
di Mattia La Torre