Sabato 9 dicembre Edda torna in Calabria, per un live al Caffè Retrò di Lamezia Terme. Sinceramente: fate in modo di non perdere questo appuntamento.
Nel frattempo ecco a voi le due chiacchiere che ho avuto il piacere di scambiare con Edda.
Tutto inizia a Milano, tra il 1984 e il 1988, quando esce il primo disco dei Ritmo Tribale. E quello spirito sembra sempre più non essere mai morto. Anche se la strada di Stefano “Edda” Rampoldi marcia ormai da tempo su un binario diverso da quello degli altri componenti la band.
Timido e sfacciato allo stesso tempo, disperato e carico di forza, Edda non ha mai messo paletti di alcun tipo tra la sua vita privata, le sue canzoni e il palcoscenico. E questa è probabilmente una delle sue principali forze. Tornato in maniera dirompente sulle scene nel 2009 (con l’album “Semper Biot“), dopo un periodo duro e difficile di ritiro dalle scene, Edda continua ad essere una delle realtà più vere, forti e mature della musica italiana dei nostri giorni.
Si racconta che tutto è nato su di una panchina, vero?
Ma sì, è la verità. Avevamo finito il liceo, eravamo tutti drogati, chi più, chi meno. Frequentavamo le stesse piazze, avevamo gli stessi rifornitori. Nella testa di tutti c’era di sicuro l’idea di suonare. Agli inizi non ce ne siamo neanche resi conto. C’era chi studiava, chi andava a lavorare. Anche io studiavo. Ma in realtà non riuscivo a fare granché. Iniziò, come spesso accade, tutto per caso, e poi diventò il nostro lavoro.
E il tuo ritorno, invece? Raccontaci del tuo ritorno alla musica.
L’idea di tornare è legata al fatto che la musica mi chiamava. Si vede che la musica è rimasta sempre il mio hobby preferito. Piano piano, dopo che mi sono rimesso un po’ a posto, ne ho sentito un grande bisogno e sono ritornato. E adesso: eccomi qua!
La vita di un musicista si divide tra le ore passate in studio e quelle trascorse sui palchi. Quale pensi sia la situazione più congeniale per te?
In studio, in quanto musicista scarsissimo, faccio da tappezzeria, più che altro. Dal vivo invece no, riesco a dare anche un piccolo apporto. È un approccio diverso, è tutto più selvaggio e mi viene più facile. Le note in realtà sono le stesse, ma mi viene meglio suonare su di un palco. Suonare in piedi, davanti alle persone. Fisicamente è più impegnativo, ma è più coinvolgente.
C’è qualche concerto o qualche situazione live che ti è rimasta particolarmente impressa?
Ho una memoria piuttosto corta, in realtà. La mia è una memoria un po’ labile, ma ricordo con piacere il Miami. Anche se più che altro faccio concerti piccoli. Non sono così importante e non è che mi chiamino molto, eh! La gente ormai non compra più dischi, ma forse frequenta di più i concerti e, in effetti, ci sono tante realtà nuove e belle.
I musicisti che ti accompagnano dal vivo sono gli stessi con cui hai registrato il disco?
Sì, sì, sono gli stessi. Fabio Capalbo, batteria e drumpad e Luca Bossi, basso e tastiere. Fabio ha anche prodotto il disco “Graziosa utopia” (uscito per Woodworm n.d.r.)
Edda che musica ascolta? Dischi? Concerti? Internet?
Abito suoi monti, nel Tirolo, in un posto sperduto. Sento pochissima musica dal vivo. Ascolto più che altro Spotify e YouTube. Ultimamente ho ascoltato molto gli Ex Otago, mi piace molto Pop X e anche Samuel. Sì, lui mi piace molto.
Sono tre nomi che sicuramente possiamo annoverare tra le cose più fortunate del panorama italiano degli ultimi tempi. Hai in testa qualche idea? O collaborazione?
Forse farò qualcosa con Pop X, se riesco sì. Se gli piace quello che sto facendo, lo farei volentieri. Potrebbe essere.