Review

|Review| “Distance Over Time” Dream Theater (InsideOut Music)

John Myung, Jordan Rudess, James LaBrie, Mike Mangini e John Petrucci

 

Il nome più grosso nelle uscite metal del mese di febbraio 2019 è sicuramente quello dei Dream Theater, probabilmente il più famoso gruppo progressive metal al mondo.

A trent’anni dall’uscita dell’album di esordio, When Dream and Day Unite, la band va a pubblicare il suo quattordicesimo full-lenght, Distance Over Time (InsideOut Music) e, come avviene ogni volta che i Dream Theater pubblicano un nuovo album, le opinioni sono contrastanti.

La copertina dell’album

Le aspettative di certo non potevano essere alte, dopo il deludente The Astonishing , ma ci si aspettava un passo in avanti, e così è stato.

La band newyorchese mira ad un approccio più immediato nelle nuove composizioni e, soprattutto accorcia la durata totale dell’album: “solo” 56 minuti e 51 secondi, considerando le oltre due ore di The Astonishing e che l’unico album con una durata minore nella discografia della band è il sopra citato esordio.

Da segnalare anche l’assenza di brani con una durata maggiore di dieci minuti.

La band, al quarto album consecutivo con la stessa formazione, viene trainata dalla premiata ditta PetrucciMyungRudess, autori di una grandissima performance con i rispettivi strumenti; in particolare il chitarrista si esibisce in assoli di grande livello in tutti i pezzi dell’album.

L’anello debole sembra essere un James LaBrie non proprio in gran forma, infatti la sua prestazione è mascherata da numerosi filtri alla voce.

Infine il batterista Mike Mangini si trova ancora in una situazione di limbo per la quale, nonostante la bravura, non potrà mai reggere il (durissimo) confronto col suo predecessore Mike Portnoy.

Si parte con il singolo Untethered Angel che, nonostante le critiche ricevute, si conferma come uno dei pezzi più godibili, soprattutto nella parte centrale dove si rincorrono la tastiera di Rudess e la chitarra di Petrucci.

Per parziale mancanza di creatività, promossa a metà invece Fall into the light: l’inizio della canzone ricorda fin troppo i Metallica, ma nel suo proseguimento il brano mostra uno stile più personale (splendido, oltre a quello di chitarra, anche l’assolo di tastiera di Rudess).

Barstool Warrior è uno dei pezzi più melodici di tutto l’album e, anche grazie ad una prova sopra la media di LaBrie, ne rappresenta uno dei picchi.

In S2N il protagonista assoluto è John Myung, che, dopo il riff iniziale, regge alla grande la sezione ritmica senza stare mai troppo in secondo piano, mentre Petrucci si esibisce in tre tortuosi assoli.

Brilla anche la lunga At Wit’s End, che alterna stacchi poderosi a passaggi più melodici, mentre la ballad Out of Reach, pur non sfigurando, risulta come un pezzo forse troppo romantico.

La conclusiva Pale Blue Dot si presenta come una delle canzoni più interessanti nelle parti strumentali, grazie a numerosi cambi di tempo, ma le parti cantate risultano un po’ piatte, soprattutto a causa dell’interpretazione del vocalist.

Non mancano però episodi sottotono, quali Paralyzed e la ritmata Room 137, inconsistenti in confronto al resto dell’album.

Che dire di questo album? Una decisa ripresa rispetto al flop di tre anni fa, che fa la sua bella figura, ma che certamente non riporta la band ai fasti di un tempo.

Il problema però sta a monte: in trent’anni i Dream Theater hanno pubblicato in media un album ogni due anni e, nonostante non abbiano nulla da dimostrare a nessuno, sembrano essersi trasformati in una macchina da marketing continuando a far uscire nuovo materiale sempre in breve tempo, con risultati non sempre positivi (si vedano ad esempio Systematic Chaos o The Astonishing).

Non sarebbe dunque meglio mettere da parte il dio denaro per un po’ di tempo e ragionare sulle nuove composizioni per qualche anno in più in modo da produrre un lavoro non dico ai livelli dei capolavori degli anni ’90, ma che almeno possa essere definito un album bello davvero come Octavarium o Black Clouds & Silver Linings?

Solo il tempo ci dirà se i cinque newyorchesi prenderanno questa decisione, intanto ci hanno lasciato Distance Over Time, il quale, che vi piaccia o meno, rappresenta i Dream Theater nel 2019.

 

La band durante il tour di Black Clouds & Silver Linings nel 2009

di Gabriele Moio