Fanculo le rockstar.
Che noia queste starlette del mainstream, con riverberi barocchi e l’espressione strafatta di chi non deve lottare per nulla, o quasi.
Puzzano di banalità e non lo sanno, a questo punto decisamente meglio chi fa della normalità il suo essere punk.
E arriviamo al punto allora, alla mascotte più celebre di LA, il biochimico che nel pogo non ti aspetti, insomma la stessa dannata cosa: Milo Aukerman, classe 1963.
Segni particolari: occhiali da nerd di chi ha ricevuto più rifiuti dalle ragazze di ogni altro essere umano. E lo va perfino a cantare in giro. Se non è una hardcore attitude questa, davvero allora non saprei cosa lo possa essere.
Però centriamo la questione. Sarà il caldo che inizia a prendere piede e affacciarsi in casa mia mentre lavoro con relativo delirio e mania di onnipotenza ma dialogo spesso con il buon Milo. Mentre verso i cereali a cui aggiungo il latte, durante le intense sessioni su xHamster, quando fingo di tenere Skype call e invece aggiungo compulsivamente oggetti al mio carrello Amazon.
Ma, soprattutto, passo le mie giornate ad immaginare cosa avrebbe da ridire Milo del mio vivere. Ma non Aukerman, parlo proprio della mascotte, quella faccia con gli occhialoni che trovate spiaccicata sulle cover dei dischi dei Descendents.
E sentendomi un po’ giudicato vorrei svincolare l’attenzione dal mio vivere male (o mal di vivere, anche) e sottoporgli massimi quesiti filosofici sui nostri tempi amari. E invece mi ritrovo a susseguire, cucchiaiata dopo cucchiaiata, bocconi di corn flakes, ansie generazionali di questa grossa crisi di un terzo d’età. Come me, lui, l’anti star.
Ascoltiamolo, dai. Cosa ne direbbe Milo?
Dialoghi di una certa importanza per gente hardcore dentro e softcore fuori come una cazzo di apple pie
F: Ti rendi conto, sto scrivendo un articolo immaginandomi di parlare con te, neppure te Milo Aukerman, ma la mascotte Milo.
M: Hai 31 anni e porti ancora l’orecchino al naso. E te ne frega qualcosa di quello che potrebbe pensare il mondo intero? Indossi una maglietta di qualche gruppo punk, sei sovrappeso per pogare ma lo fai e soffri poi col fiatone mentre al bancone ordini uno Jägermeister. Mi sembri il simbolo di questa generazione fregata dal sistema. Un po’ come me bloccato in questa cazzo di cover quadrata 500×500 pixel.
I’m just a square goin’ nowhere!
Fai parecchio schifo ed è un buon punto di partenza in fondo.
F: Sì ok, ma non lo vedo più il punk, capisci Milo? Ora controllo se c’è il tonno in offerta e sfoglio i depliant delle offerte di Brico. Faccio pure fatica a trovare i torrent sui siti russi di bassa lega.
M: Mangiare i cereali è punk. Fischiettare sotto la doccia i Beach Boys sculettando con l’asciugamano è fottutamente punk. Leggere un libro è punk. Entrare in un negozio e rompere le palle al commesso sulle funzionalità nascoste dell’ultimo modello di lavatrice tedesca e poi dire – ma no, alla fine non c’ho manco la casa – è punk. Alla fine già vivere è roba tosta, saperlo fare male è un talento. Prendi me, io manco volevo crescere e la cosa più figa che abbia fatto è stato andare al college. E degli stronzi lo hanno pure sputtanato ai quattro venti. Parli a me di punk?
F: Non lo so. Chi sono io per ammorbarti. Ma sto mettendo su la panza, da un momento all’altro potrebbe venirmi un infarto, almeno credo. Ma una volta non ci mettevano più cioccolato dentro sti cereali?
M: Proprio a me dici sta roba? Ho scritto una canzone di 15 secondi che dice soltanto:
I like food, food tastes good
E ci mettevano più cioccolato sì. Te l’ho detto, generazioni fregate. Da Reagan, dalla tv, da Barbara D’Urso, dai libri di merda di Baricco, dai film in lingua originale che non hai voglia di vederti perché è faticoso, da chi accetta senza dire ma, da tutti noi. Io voglio solo mangiare e il cioccolato extra lo metto io, in barba ai benpensanti.
F: E di Calcutta? Sì, dai, insomma quel tizio. Cosa ne pensi di lui?
Lì che tace. Forse ho rotto questo nostro equilibrio e già me ne pento. Avrei dovuto tacere perché capisco che sarà l’ultima volta che vedrò i suoi capelli a spazzola nella mia mente.
Stupido, stupido Fra.
E mentre mi flagello e ripenso alla tracklist di Milo goes to College con i lacrimoni agli occhi scorgo i suoi occhialoni alzarsi ed apparire dal tazzone ricolmo di cereali come fosse un sole pronto ad albeggiare.
Una linea a pennarello gli delinea un sorriso e poche lettere in una font bold italic.
II want to be stereotyped
I want to be classified