2 classifiche di 20 brani, stilate da 2 delle nostre redattrici, raccolte in un’unica playlist, per raccontare l’anno più strambo che ci sia mai capitato di vivere.
2020: Ritorno alle origini. (Loredana Ciliberto)
Il comune denominatore di molte delle mie scelte made in 2020 è una sorta di ritorno alle origini. La maggior parte dei dischi che ho inserito in classifica sono, infatti, ricchi di rimandi a sonorità anni ’80 (penso soprattutto a Future Islands e House of Harm) e (un po’ meno) anni ’90 (il disco dei Porridge Radio, ad esempio, è marcatamente spinto verso i Nineties).
Se a colpirmi sono stati soprattutto questi rimandi non è solo, probabilmente, perché ho sempre considerato quello il periodo di riferimento per la formazione del mio gusto personale (cosa che, in una classifica, è ovvio che venga sempre fuori, al di là del necessario tentativo di compendio), ma anche perché il ritorno a sonorità post-punk e all’elettronica dei due decenni citati hanno, si sa, caratterizzato molte uscite recenti.
È così, molti dei dischi che ho più amato ultimamente mi hanno riportato sì a cose già sentite, ma mi sono sembrati comunque perfetti quali chiavi di lettura di questo anno di stallo.
Riflessivi, a volte cupi, ma sempre carichi di grande forza vitale, nonostante tutto. In due casi, Lanegan e Anna Calvi, ci troviamo addirittura di fronte a due riedizioni di dischi già usciti, ma nelle cui variazioni (verso l’elettronica nel primo e verso un maggiore intimismo per la seconda) ho trovato ugualmente una forza straordinaria.
Tutto questo mi sembra rendere evidente che il pregio dei dischi che ho scelto è stato soprattutto quello di essere stati capaci di cullarmi all’interno di una sorta di “comfort zone” (come la chiama un caro amico), grazie alla cui protezione è stato meno duro superare le difficoltà di un anno balordo.
Un ritorno alle origini che quindi forse ha il sapore, prima di tutto, della ricerca di una qualche protezione, della necessità di ritornare in una sorta di guscio, di grembo, volutamente alla ricerca di un effetto placebo scaturito da ritmi, suoni, cadenze e melodie riconoscibili.
È così che ho voluto leggere le tante cose belle ascoltate in questo 2020. E oserei dire che, dopo il primo posto dei Fontaines DC, vi è poi per me un unico grande secondo posto, dove collocherei a pari merito gli altri nove dischi seguenti.
Come è successo a tanti, un anno trascorso in buona parte in smart working mi ha dato la possibilità di ascoltare molte più cose rispetto agli ultimi anni. È per questo che la mia classifica avrebbe voluto essere in realtà molto più lunga e soffre di esclusioni eccellenti (Matt Berninger, Perfume Genius, Owen Pallet, Benvegnù, il ritorno di Moltheni…).
E naturalmente non comprende tanti bei singoli ed EP che ho consumato (ad esempio Zola Blood, VRCVS, The Radio Dept., Arab Strap); ma questa è un’altra storia e probabilmente la racconterò in qualche altra playlist.
- “A Hero’s Death” – Fontaines DC
- “The Ascension” – Sufjan Stevens
- “Ultimate Success Today” – Protomartyr
- “As long as you are” – Future Islands
- “Every Bad” – Porridge Radio
- “Ultra Mono” – Idles
- “Muzz” – Muzz
- “Holding on / Letting Go” – Sophia
- “American Head” – Flaming Lips
- “Silver Ladders” – Mary Lattimore
- “Vicious Pastimes” – House of Harm
- “The Slow Rush” – Tame Impala
- “The New Abnormal” – The Strokes
- “Existential Reckoning” – Puscifer
- “Another Knock At The Door” (IYEARA Remixes) – Mark Lanegan
- “Alone vol. IV” – Gianni Maroccolo
- “Ellipses dans l’harmonie” – Teho Teardo
- “Inner Song” – Kelly Lee Owens
- “Hunted” – Anna Calvi
- “Earth to Dora” – Eels
Un riassunto: Isolamento, Black Lives Matter, più potere alle donne. (Giulia Rivezzi)
Si può dire che Moses Sumney, ossessionato dalla sua filosofia della solitudine, abbia anticipato quasi profeticamente un tema così presente come quello dell’isolamento?
Si, perché “Etymologically, isolation comes from “insula”, which means island”, come recita una voce femminile perforante in And so I come to isolation, che contiene il concetto che fa da incipit e chiusura del doppio album Grae, una delle più sorprendenti conferme degli ultimi anni.
Si può parlare poi dell’isolamento di Soko, propedeutico alla concentrazione e a scavare nella profondità del proprio io, che consiste in uno stacco dal sesso, masturbazione e stravizi – come la stessa ha dichiarato – e dà vita a Feel feelings, un album-inno alla libertà, molto sensuale e personale.
Dulcis in fundo Fiona Apple che, distanziata dalle dinamiche dello show business già dai VMA’s del ’97 (ricordiamo il celebre “Everybody out there that’s watching this world: this world is bullshit, and you shouldn’t model your life around what we think is cool, and what we’re wearing and we’re saying and everything. Go with yourself.”), crea un capolavoro non convenzionale di suoni molto poco pop, Fetch The Bolt Cutters.
Durante anni di lontananza dal mondo esterno, converte ogni più piccolo dettaglio in suono dicendo: “Mi sentivo davvero come se fosse uno strumento in sé, è il microfono: la casa è il microfono, la casa è l’atmosfera, la casa è un membro della band”.
La casa diventa l’anima, diventa un laboratorio di suoni, i più svariati oggetti e persino le ossa del suo ex cane defunto colpiscono superfici e diventano percussioni, la voce graffiante si trasforma in un mezzo di esplorazione eclettico: un’opera notevole.
Il 2020 è anche l’anno delle proteste a favore dei diritti umani, ed in particolare di un ampio movimento contro le discriminazioni razziali, che comprende diversi concetti culturali. E l’arte e la musica, anche stavolta, hanno offerto prospettive ed ossigeno alle menti, acceso i riflettori e gli abbaglianti anche sul tema del “Black Lives matter”.
Degni di menzione in questo senso sono Moses Boyd col suo primo splendido lavoro da solista dalle influenze prevalentemente jazz, Dark Matter, e i SAULT, una delle più grandi sorprese dell’anno.
Il collettivo, composto da anonime figure, vanta ed esprime una moltitudine di generi musicali ed importanti collaborazioni, che compongono un’immagine di Melting Pot.
Untitled (Black Is) e Untitled (Rise), vengono pubblicati a ritmi incalzanti, uno dopo l’altro per sottolineare l’urgenza della protesta contro la disumanità e l’abuso di potere ma, allo stesso tempo, la gioia di appartenenza ed un senso di identità.
Un’ opera unica per un’autentica rivoluzione: l’assenza dell’estetica, la presenza dell’essenza.
Infine, il 2020 ha fatto da eco al potere delle donne in musica qualitativamente importante: Adrianne Lenker, Laura Marling, Phoebe Bridgers, Kelly Lee Owens, Jehnny Beth, Sevdaliza, Taylor Swift, Soko, Agnes Obel, Fiona Apple, Lianne La Havas, Deradoorian, Grimes, Dua Lipa, Anna Burch, Waxahatchee, Nathy Peluso, Death Valley Girls, Cable Ties, Cleo Sol, Yazmin Lacey e chi più ne ha più ne metta.
A voi l’ascolto.
- “Fetch the Bolt Cutters” – Fiona Apple
- “Songs” – Adrianne Lenker
- “Grae” – Moses Sumney
- “Untitled (Rise)” e “Untitled(Black is)” – SAULT
- “Suddenly” – Caribou
- “Song for Our Daughter” – Laura Marling
- “Feel Feelings” – Soko
- “Breathe Deep” – Oscar Jerome
- “Ultra Mono” – Idles
- “I mortali” – Colapesce, Dimartino
- “Lianne la Havas” – Lianne la Havas
- “Every Bad” – Porridge Radio
- “Dark Matter” – Moses Boyd
- “A Hero’s Death” – Fontaines D.C.
- “Sundowner” – Kevin Morby
- “The Slow Rush” – Tame Impala
- “925” – Sorry
- “MOMENTUM” – Calibro 35
- “Mordechai” – Khruangbin
- “Set My Heart On Fire Immediately” – Perfume Genius