Spettacolare. Non usato come aggettivo, ma coniato come verbo. Non ci sono parole per descrivere la carica emozionale del concerto dei The Chemical Brothers al Rock in Roma, se non violentando l’italiano: hanno “spettacolato”.
Erano gli anni ’90, ora siamo nel 2018: sono più di due lustri che i Chemical Brothers, due Lord (Tom Rowlands e Ed Simons), ci strapazzano benevolmente e non sbagliano mai un colpo. E di colpi ne ho presi tanti, a suon di elettronica. Ma partiamo dal principio.
Arrivo all’Ippodromo delle Capannelle con un buon anticipo, dentro c’è già un’atmosfera da club. Un mix di culture e subculture, un ventaglio di generazioni, che amorevolmente sorseggia birra e ingurgita supplì (approfitto per rendere noto, per chi non avesse avuto a che fare con loro, che i ragazzi degli stand sono un amore). Sembra una di quelle feste al tramonto sui tetti, tra trip-hop e ambient. Insomma, già mi sento a casa, quella emozionalmente parlando, mentre in quella fisica ho lasciato i miei fedelissimi tacchi da trampoliere e tutti i miei frufru dell’abbigliamento. Shorts, canotta, scarpe da allenamento ai piedi: sono pronta all’elettro-guerra. Aspetto questo concerto come fosse un Capodanno a New York.
Come programmato dall’organizzazione, l’evento parte poco dopo le 22.15. Nell’aria le note di Tomorrow Never Knows: eccoli lì, sono arrivati, questi due Signori che hanno saputo navigare e domare come pochi le onde, il mare agitato, delle mode, delle noie, dei facili entusiasmi, dei difficili gusti.
Subito ci danno una botta e parte “Go”.
Che ve lo dico a fare? Eravamo già alle stelle. Ci si sbatte in faccia senza complimenti una scenografia e una produzione da urlo. Sì, urlo: quello continuo che ho emesso per un’ora e mezza mentre saltavo (amici possono testimoniare che sono ancora felicemente, sia per me sia soprattutto per loro, afona).
Laser, immagini a video pazzesche, grafica formidabile accompagnano i due che stanno dietro alla consolle e noi avanti che sudiamo beatamente, mentre balliamo come se non ci fosse un domani, tra Free Yoursel, Believe, Chemical Beats e un salto avanti e uno indietro nella loro discografia. Poi, a un certo punto, arrivano a danzare sul palco questi due enormi robot con gli occhi sparaflashanti, uno rosso e uno blu (sì, per me è molto importate sottolineare questo abbinamento cromatico: sono di Cosenza). Poi, alla fine, prendono fuoco. Spiazzanti.
Arriva Hey Boy Hey Girl e questo sound&vision ci ha completamente inghiottito. Uno show multisensoriale.
C’è anche Saturate per passare ad Acid Children e volare su Galvanize su C.H.E.M.I.C.AL. e concludere con Block Rockin’ Beats. Alla fine appare sugli schermi una scritta: Love is All. Psichedelica, favolosa, chiusura perfetta, bella come un soccorritore che ti trova sotto la valanga di neve, che ti seguiva mentre facevi una discesa folle con lo snowboard e ti ha travolto. Non so come farvi capire davvero. Dovrebbero parlare i miei lividi sulle cosce, i miei piedi devastati, la mia testa invasa. Dovete viverlo.
Io posso solo affermare che il Rock in Roma ha portato uno degli eventi migliori che si potessero proporre in questa stagione. Un concerto composto da un turbinio di luci, mostri, farfalle, ballerini, corpi deformati, geometrici, Gesù, i Santi, i diavoli, personaggi onirici, super cose nerd a non finire e, soprattutto, due padroni assoluti del regno dell’elettronica. E ora che sono riuscita a scrivere su un millesimo dell’emozione di questo concerto, il mio assoluto di questo periodo, continuo a ballare.