Review

|Review| La cassetta di ottobre 2019 |To Tape|

Sapete cosa aspettavo da tanto tempo di scrivere? Punk!

Ma non perché io non l’abbia mai scritto nel corso di tutta la mia vita, ma perché adesso posso scriverlo di nuovo senza risultare uno di quei nostalgici tradizionalisti della musica, anche perché non lo sono mai stato.

E vicino alla parola “punk” poter scrivere anche la parola “inglese”.  Sì, signori e signore, ci siamo!

La ventata di fresco post punk inglese sta arrivando a velocità supersonica e con la faccia di giovani ventenni incazzati e proveniente dalla working class.

E attenzione, l’inglese è solo la radice linguistica, perché qui si parla di post punk direttamente dalla stoica e furiosa Irlanda.

Le chitarre, le camicie, i jeans, gli scarponi, le foglie autunnali, il cielo grigio, la pronuncia strascicata, le pinte al bancone, le lotte sociali, la voglia di libertà, di autodeterminazione di una generazione nuova che combatte con un mostro ancora più grande del proprio vicino di casa imperialista, che questa volta si chiama capitalismo mondiale e sta abbattendo ogni cosa intorno.

Allora si accendono gli ampli, si tirano le pelli, si accordano i legni, si accendo i microfoni e non c’è più spazio per il cosiddetto disagio che ha accompagnato gli ultimi anni di canzoni troppo scariche, troppo facili, troppo da cantare sotto la doccia, a far da scudo alla semplice apatia mascherata da malessere sociale perché “è inutile, non c’è più lavoro, non c’è più decoro. Dio o chi per lui sta cercando di dividerci”.

Ora è il momento di riprendere in mano ciò che vogliono toglierci, di rioccupare gli spazi, le strade, le città, di riprendere un modo attivo di socializzazione, di dire a gran voce cosa c’è che non va e non stare più con le mani in mano.

I Fontaines D.C. e The Murder Capital sono coloro che stanno venendo a disturbare la nostra “quiete” con la faccia di gomma da giovani strafottenti quali sono.

 

E se le chitarre d’Irlanda non bastano o non vi sembrano adatte a questa nuova rivoluzione, dovete solo attraversare un pezzo di mare, fare l’inchino a sua Maestà la Regina e raccontarle che “Nothing Great about Britain”, il “No Future” localizzato (neanche troppo, visto che il caso Brexit sta coinvolgendo tutto il mondo piegato ormai solo alle leggi del mercato. Mi sa che Adam Smith s’è perso la sua mano invisibile) di Slowthai che è punk nell’attitudine ma non nei suoni, e allora è facile che possa infestare le piste da ballo con il suo andamento quasi jungle.

Quella stessa giungla di suoni, colori e generi in cui i Black Midi si districano, destrutturando qualunque loro creazione per darle nuova forma in un contesto musicale punk perché “stronzo”, perché irriverente, perché nel 2019, appena maggiorenne, non puoi fare certe musica “da vecchi”, quella in cui non si capisce niente ed è tutto un cambio continuo di generi musicali, tutti tempi dispari e pedalare.

 

Dio o chi per lui salvi la Regina, o chi per lei.

In alto i volumi, le chitarre e il punk, perché ne abbiamo veramente un gran bisogno.

di Renato Failla