Avete presente quel momento in cui vi trovate di fronte al classico dubbio sul cosa mettere, mangiare, lavare (oddio, quello magari no), guardare, leggere, e via dicendo?!
A me succede ogni volta che mi siedo davanti al computer per consigliarvi i quattro dischi del mese.
Alla fine, però, devo necessariamente darmi una mossa, sceglierli e cercare di non pensarci più, anche se la notte poi non dormo per aver inserito quel disco piuttosto che un altro.
No, non è vero, ma se fosse lo riterrei un aspetto molto romantico della faccenda.
In ogni caso, il mio metodo è sempre lo stesso: basarmi sul primo ascolto di un disco per capire se mi piacerà, tecnica che non tutti accettano ma che per me è determinante, perché raramente mi è piaciuto poi un disco che al primo ascolto non mi avesse soddisfatto.
Così è stato per Fish Pond Fish dei chicagoani Darlingside, che sfoderano in questo
quarto album tutta la loro capacità di sventagliare i canoni classici dell’indie rock in tonalità folk e buttarci in un campo sterminato da qualche parte in Pennsylvania (ho nominato questo Stato esclusivamente per gli algoritmi).
Più che un disco è praticamente un corso di scienza, con la differenza che non avrete davanti il classico professore interessante come una lista della spesa, ma quattro musicisti che sanno il fatto loro.
Ci spostiamo leggermente più su, varchiamo il confine e torniamo a trovare i canadesi Metz per ascoltare insieme a loro l’ultimo ipnotico disco Atlas Vending, edito ancora – e per fortuna – dall’adamitica Sub Pop.
Non è un disco molto diverso dai precedenti, se non per alcune virate shoegaze, e l’andamento è sempre cadenzato, martellante e “claustrofobico”.
Le liriche vomitano disagio, rabbia, ansia, frustrazione ma è proprio quello che ci piace di loro, quindi perché cambiare?!
Sarà il fatto di abitare territori simili ma, a proposito di cambiamento, i Suuns decidono di pubblicare un EP, Fiction, con brani ripescati da vecchie jam e rielaborati con la maturità di oggi.
Una sorta di seduta psicanalitica in cui il duo di Montréal ha analizzato il proprio percorso musicale.
Il risultato? Un bel viaggio sonoro tra dark wave, chill hop camuffato e industrial.
Chiudiamo con l’ultimo disco di Sufjan Stevens, The Ascension, che segna un altro balzo in avanti per l’artista di Detroit, almeno per chi scrive.
Un nuovo lavoro tutto da scoprire, condito dalla solita melanconia raccolta però dentro micro suoni elettronici che ci trasportano verso l’alto, appunto.