Siamo alle battute finali di questa estate strampalata e tra paure di nuovi lockdown, timori di non poter riprendere a lavorare, punti interrogativi grandi come case per quello che succederà questo inverno, non ci resta che consolarci con la musica e farci coccolare; sicuramente una canzone, una frase di un testo o un album intero riusciranno ad alleviare dolori e preoccupazioni.
Partiamo con un gradito ritorno, quello dei June of 44, tra i paladini del math rock e slowcore internazionale di stampo 90’s.
Il loro disco arriva dopo oltre vent’anni dall’ultimo pubblicato anche se non si può propriamente definirlo nuovo: al suo interno sono contenute canzoni mai completate durante il loro periodo di attività (tra il 1994 e il 1999).
Loro che con l’Italia hanno avuto sempre un rapporto stretto, proprio nel 2018 si erano riuniti per partecipare al concerto evento tenutosi a Catania per festeggiare i 30 anni di carriera degli Uzeda.
Unica band italiana che partecipò attivamente e fu parte integrante dell’epoca d’oro del Noise Rock negli anni ’90, gli Uzeda strinsero dei veri rapporti di forte amicizia con band come June of 44, appunto, Shellac (guidati da Steve Albini, produttore dei Nirvana), Fugazi e tante altre appartenenti a quella scena seminale per la musica rock internazionale di fine secolo.
Revisionist: Adaptations & Future Histories In The Time Of Love And Survival contiene anche due importanti remix, uno dei quali è in apertura di disco ed affidato ai Matmos (l’altro è affidato a John Mcentire dei Tortoise), progetto musicale basato totalmente su suoni proveniente da oggetti (e di cui tanto abbiamo parlato in queste stagioni di To Tape su Radio CRT).
Il disco è uscito in Europa per l’etichetta italiana La Tempesta.
Rimanendo in tema rock, un altro disco che abbiamo seguito singolo dopo singolo quest’anno a To Tape è il nuovo dei Bright Eyes, uscito ad inizio agosto per la Dead Oceans.
Dopo dieci anni, la band di Conor Oberst è tornata al momento giusto per toccare le nostre vite con la solita scarica di emozioni che abbiamo imparato a ricevere nel corso della loro carriera.
Down in the Weeds, Where the World Once Was è in perfetto stile Bright Eyes, ma dieci volte più forte: la dolce malinconia che pervade il loro mondo suona come un caldo abbraccio che ti fa correre un brivido lungo tutta la schiena.
Nel giorno di pubblicazione del disco, una giovane ragazza americana ha twittato le sue emozioni durante l’ascolto, brano dopo brano, intervallando foto con gli occhi lucidi a frasi che lasciano perfettamente intendere la forza emotiva del disco.
Cercando di reagire a questo stato di cose, gli americani Cloud Nothings, band post hardcore tra le più conosciute negli ultimi anni (ho avuto anche il piacere di condividere il palco con loro e posso assicurarvi che dal vivo hanno una potenza di fuoco non da poco), a luglio hanno pubblicato un nuovo disco.
The Black Hole Understands, scritto e suonato interamente a distanza, auto-prodotto e pubblicato solo in streaming su bandcamp per auto finanziarsi dopo la quarantena, non è il classico “fuoco e fiamme” della band dell’Ohio ma decisamente più pop, caratteristica sempre presente nel quartetto ma camuffata dall’energia e dalle strutture spigolose delle canzoni.
Chiudiamo con il disco tra i più attesi di questo 2020, quello dei dublinesi Fontaines D.C. tra i paladini della rinascita del Post-Punk che il primo agosto hanno pubblicato il loro secondo album, A Hero’s Death. In controtendenza con i dettami classici del genere, è un disco musicalmente diverso, riflessivo, oscuro e a tratti psichedelico, lasciando il Post Punk nelle retrovie e nell’attitudine a fare da contraltare; quanto basta per essere già uno dei dischi più belli di questa nuova ribellione musicale.