Apertura di stagione straordinaria con tanto di sold out al Bronson di Ravenna: arrivano i Brian Jonestown Massacre a presentare il loro ultimo album fresco di uscita “Something else”.
Aprono il live gli italiani New Candys, band alternative rock che piace, introduce gradualmente allo spirito del concerto e sorprende i presenti, molto attenti alla loro esibizione.
L’attesa sale, il pubblico è eterogeneo ed è presente un dislivello generazionale anche nelle primissime file, proprio dove mi trovo.
Ore 22.30, salgono finalmente sul palco i BJM con il loro leader, cantante e anima del gruppo Anton Newcombe.
L’impatto è notevole: si posizionano sul palco in fila orizzontale con giacchette anni ’80, occhiali da sole rigorosamente neri e sigarette alla bocca.
Faccio un po’ un salto indietro nel tempo: il Bronson sembra essere diventato di colpo un locale americano dove viene girato un video musicale pronto per essere trasmesso su Mtv.
A dettare i tempi in modo impeccabile il percussionista e la batterista, le cui personalità rapiscono tutti. Il primo è Joel Gion, che non a caso si trova a centro palco, picchia sui tamburelli e con le sue facce buffe e le sue movenze diventa l’idolo del pubblico dando movimento al gruppo.
Subito dietro lei “fa rigare dritto” i suoi e super concentrata indossa una maglietta con su scritto “Monsters from the deep”, dando la sensazione di essere altrove, come fosse alienata.
L’intero concerto è un viaggio: se non ti ci butti dentro a capofitto non puoi apprezzare.
Brani lunghi con finali strumentali, psichedelie, distorsioni, giri di basso che si ripetono all’infinito, cori di voci e numerose chitarre ritmate contribuiscono, con l’aiuto delle luci blu, a far entrare l’ascoltatore in un’altra dimensione, quasi surreale.
Dopo un’ora arriva la coinvolgente “Anemone” a rompere gli schemi: richiestissima sin dall’inizio dal pubblico a gran voce, non sarà suonata per ultima.
Il Bronson si riscalda e assume sempre più sembianze californiane.
A fine concerto il palco è sovraffollato: le chitarre si moltiplicano e all’improvviso sul palco contiamo 9 musicisti.
La chiusura è perfetta: Anton e band giocano con strumenti e volumi degli amplificatori e ci lasciano con un tripudio di rumori, suoni striduli, noise, follia psichedelica, che stordisce, lascia a bocca aperta e fa andare via più che soddisfatti.
di Giulia Rivè / foto Eleonora Rapezzi