“What do you mean they’re driving? It’s three thousand miles from L.A. to New York and they’re driving? I got a packed house saturday night and no band What the fuck don’t they fly? Well they better be”.
Inizió così il mio viaggio assieme ai Black Rebel Motrcycle Club contemporaneamente alla lettura di “On the road” di Kerouac.
La magia di 3000 miglia di strade, deserti, incontri ed allucinazioni di vario genere in un video di circa 4 minuti. Successivamente il viaggio proseguì con le loro uscite discografiche e presentandomi puntualmente ai loro concerti. Chissà quante cose non scritte tra le pagine, si saranno detti anche Sal e Dean durante quegli anni di viaggio, dove non si sapeva dove andare, ma l’importante era andare.
La distanza Bologna/Milano in A14 non è nulla, 133,78 miglia sono uno sputo a confronto di 3000, ma danno comunque la possibilità di scambiare quattro chiacchiere un po’ su tutto quando si divide l’abitacolo.
Si può passare dalla musica, alle subculture, dai vestiti fatti di materiale acrilico che se non riescono ad essere venduti, vengono tritati e fusi per creare nuovi capi, alle mini moto e alle mini 4wd con le ruote di spugna o pitturate a bomboletta.
Si può passare dal Vic 20 impolverato sotto il letto ed arrivare fino ai baffi tentacolari di Farinetti che si impossessano della tradizione culinaria italiana provando a monopolizzarla, facendoti credere di essere F.i.c.o.
Proprio terminato il topic sui Jeans a vita bassa che mettevano in risalto il lato B femminile siamo arrivati al Fabrique, entriamo e diamo subito un’occhiata al merchandising, ma optiamo per non acquistare nulla.
Ci posizioniamo abbastanza avanti, sulla destra del palco e da lì a poco il concerto inizia.
Black Rebel Motorcycle Club on stage!
Il volume che sembra uscire in mono della nuovissima “Little things gone wild” ci mette un po’ di ansia addosso sull’esito del concerto, ma le nostre apprensioni vengono abbastanza placate da “Beat the devils tatoo”.
In sequenza “Ain’t no easy way” è la conferma che tutte le equalizzazioni ed i tagli sono stati calibrati correttamente. Seguono le incalzanti “Berlin” e “Conscience Killer” che con i loro ritmi dritti farebbero battere il piedino a tempo anche alle persone più scoordinate. Poi ecco la parte più calma “Haunt” e “Question of faith”, stiamo ondeggiando trasportati dalla profondità del suono di quel basso a cui una chitarrina fa costantemente lo sgambetto salendo di tonalità, fino a terminare in una rapida scaletta.
Siamo alla metà della setlist quando dalle casse parte quel giro di basso ostinato e distorto: “Stop” secondo il mio modesto parere, è una canzone che ci ha dato modo di attraversare come un ponte gli ultimi anni 90’ e ci ha consegnato dai primi 2000 una delle migliori Rock band attuali. I capotasti sprigionano tutte quelle migliaia di Km di arido asfalto polveroso e sporco di grasso nero, immediatamente bagnato da una pioggia di benzina di chitarre psichedeliche. È passato tanto tempo da “Dig!” quando Peter Hayes ed Anton Newcombe erano nella stessa formazione, i capelli sono più grigi, ma il modo in cui ci presenta la nuova “Carried from the start” è sublime, è in forma splendida, penso che appena sarà uscito il disco, questa traccia verrà lisata dai miei ascolti smisurati.
Se c’è una cosa che i Black Rebel Motorcycle Club riescono a dare al loro suono è quell’aura maledetta e pure questa volta ci sono riusciti. Il concerto procede bene, i miei compagni di viaggio di Bologna sentono ogni tanto le mie pacche o strette al cambio delle canzoni, vedendo anche abbastanza bene scatto qualche rapida foto, ma ecco che dopo una spintonata mi si piazzano davanti due social addicted, che subito tirano fuori il loro maxi cellulare ed iniziano a comporre storie per i loro Instagram, cercando la migliore angolazione e colore del font.
Si ok, lo facciamo tutti oramai, anche io ho scattato rapidamente due foto, ma cazzo! Non puoi piazzarti lì e rovinare tutto per 15 minuti, sbuffo e la ragazza vicino a me fa partire un sorrisetto perché capisce il mio disagio ed io affermo a voce alta: “Hai visto!? Mi sono cresciuti due coglioni giganti!” Lei annuisce ridendo, ma quella risata dura poco perché la sposta via un trenino di persone (tipo quelli di capodanno) che le passano non curanti davanti.
C’è anche un momento solo sul palco, Robert Leevon Ben, ci propone una intima “The Line” che sulla metà dell’esecuzione viene accompagnata fuori tempo da un battito di mani modello scampagnata o gita in corriera con i panini alla mortadella negli zaini, con gente che sparlotta e se la ride pure, esclamazioni del tipo “Dajie Robbè!” e lui sussurra uno “Shh!” al microfono, cosa che apprezzo molto, poi fa un sorriso per sdrammatizzare o forse sta pensando “cafoni“.
Aplomb che invece non ha Peter Hayes al solo successivo con “Devil’s waitin’ ” e che accompagna con una espressione carina del tipo “You fucked me up!”.
Siamo sulla tre quarti del concerto ed il ritmo sale “Love Burns” e via a muovere il culo, fino ad una “666 conducer”. Poi il solletico di “Awake”, guardo quella chitarra nera negli occhi, mi gira dentro morbida senza fermarsi, mi fa arrapare a bestia, voglio essere lasciato lì dentro quei riverberi, ci voglio venire con tutte le adeguate precauzioni alle strofinate noise che si raggiungono. Scusate i fronzoli, ma è veramente benessere uditivo.
Giusto il tempo di un applauso e la chitarra di Peter ci fa tuffare in una “In like the rose”, subito il mio pensiero va ad Ugo Cappadonia degli Stella Maris che si trova da qualche parte tra il pubblico e con il quale condivido la passione per questo pezzo, lo immagino mentre esclama: “Brutale! Compare!” Non c’è tempo, siamo sul rush finale e vengono sparate dal palco le ultime manciate di pezzi, il vortice di “six barrel shotgun” ci investe, ritmiamo “Spread your love” come una marcia.
Poi i Black Rebel Motorcycle Club spariscono per un attimo dietro il palco lasciandoci infuocati. Viene concesso come bis “red eyes and tears” e dulcis in fundo “Whatever happened to our rock ‘n’ roll” e i trenini dei quali parlavo prima diventano esodi di massa verso il palco, fino a trasformarsi in un pogo non troppo aggressivo.
Una parola: SODDISFAZIONE.
Al termine del concerto incontro, come previsto, Cappadonia che vedendomi esclama: “Brutale! Compare! Hai visto?! Hanno fatto anche In like the rose!“. CVD. Mentre recupero la giacca penso che sia una fortuna che gruppi come questi non riempiano i palazzetti, perché dopo una carriera oramai consolidata, molte band si addomesticano al mainstream perdendo il loro smalto di terre vergini, diventando un brand con biglietti costosi, un prodotto di consumo per radio dove il concetto e la parola Rock è esasperata per ogni cosa, anche quando si parla di raccogliere la cacca del proprio cane.
Usciamo dal Fabrique diretti a Bologna, unico pit stop sarà all’autogrill di Secchia Ovest dove espleteremo soltanto una breve funzione fisiologica in onore di Oscar. Buona vita a tutti!