Domenica sera sono stata alla data bolognese di AURORA, arrivando curiosa ma senza troppe aspettative: ne è uscito il fatto che ho riflettuto molto sul potere della musica e sull’energia che sprigiona.
Diciamoci la verità, tendiamo sempre ad evitare i concerti non molto affini ai nostri “generi” musicali preferiti e non ci liberiamo mai da questo brutto vizio: evitare il “diverso”.
Ed è un grosso errore quello che commettiamo.
La ventiduenne norvegese dona al Locomotiv la carica giusta per concludere in bellezza il weekend.
Il look di AURORA è assolutamente di impatto: vestito rosa, frangia bionda, viso angelico, a prima vista una principessa pop.
Ma tra un brano e l’altro capisci che non si tratta di una ragazzina qualsiasi.
AURORA coinvolge, ti guarda intensamente, ti fa sconnettere dalla realtà ma allo stesso tempo sentire parte di quel momento.
Ondeggia da una parte all’altra del palco con la sua voce incantatrice e non risparmia i momenti di follia, in cui si scatena in maniera improvvisa come nel finale di “Soft Universe”, particolarmente degno di nota.
Luci, movimenti e suono si intrecciano, ne fa da padrone un potente contrasto: l’immaginario suggerito è quello di una ragazza dalla faccia angelica posseduta da un’ anima oscura.
Negli intermezzi tra pop, folk e dance, non si fa altro che ridere ed ascoltare la sua vocina quasi tremolante ed emozionata, dimostrazione che trovarsi davanti ad un pubblico ridotto, ma in un contesto più intimo, spesso provoca molto più timore rispetto ad una folla indistinta di cui non riesci neanche a vedere i volti.
Ci ringrazia e ci dice che non è facile trovare un pubblico così, sorridente, dolce e parte attiva del live. “Italian people, wow, the way you smile, is so sweet.”
E poi le hit: da “Runaway”, passando per “Warrior” a “Queendom”, dove tutti saltano.
“Ho bisogno di farmi una doccia e di bere acqua fredda dopo il concerto. Puzzo, oggi non ho potuto lavarmi” dice ridendo, ma la gente le grida che la ama lo stesso.
La amano anche dei norvegesi che dal centro della sala alzano gridando un cartellone a noi incomprensibile.
La ama chi tra il pubblico le fa proposte di matrimonio, che rifiuta molto divertita.
La amiamo quando con le mani ci invita ad imitare la forma della patata che diventa il simbolo della serata.
Insomma, ha carisma da vendere, non per nulla è stata paragonata a Bjork o Florence Welch ed è molto apprezzata da diversi artisti internazionali.
Conclude con “Running with the wolves”, prima di concederci un bis intenso: è “Through the eyes of a child”.
Il momento è solenne, davanti a me c’è una dea con voce dolce, occhi chiusi e mani sul petto.
“The world is covered by our trails, scars we cover up with paint/ I would rather see this world through the eyes of a child”.
Il resto ve lo lascio immaginare.
Distruggiamoli i pregiudizi musicali, lasciamoci sorprendere.