L’ultimo disco di Lucio Leoni, la scena musicale romana, la responsabilità della musica e i progetti per il futuro.
Di questo e di altro ancora ho parlato con Lucio Leoni, cantautore romano oltre che produttore, musicista, conduttore radiofonico ecc.
Durante una delle ultime serate del Festival ArdeForte ne ho approfittato per farmi due chiacchiere con Lucio Leoni prima che salisse in scena insieme a Jacopo Ruben Dell’abate e Lorenzo Lemme (Le Sigarette) suoi compagni di viaggio sia in studio che durante i live.
Come sta andando Il Lupo Cattivo? – Un disco che tu stesso hai definito un concept album – Ormai è fuori da quasi un anno avrai sicuramente un giudizio sul lungo periodo.
Sta andando molto bene, incredibilmente. Nel senso che è un disco molto complesso, non è immediato capire cosa sto raccontando. Ma sta ricevendo riscontri molto positivi e molto lusinghieri sia dagli addetti ai lavori, recensioni ecc sia per la risposta del pubblico. Ne sono veramente molto felice.
E durante i live com’è l’effetto sul pubblico? Di solito questo tipo di progetti vengono bene in sala di registrazione ma poi è sempre complicato portarli in scena.
E’ molto complesso nel senso che è un disco costruito senza basso e oggi come oggi fare un disco senza basso è rischioso. E un po’ questa cosa si sente. Però lo avvertiamo più noi, noi musicisti, noi che stiamo sul palco. Perché in realtà da quando lo portiamo in giro nessuno mi è venuto a dire “oh non c’è il basso, che suono strano!”. La fortuna della riuscita live sta nel fatto che essendo un concept album c’è una costruzione di pensiero, di racconto intorno alle canzoni. Non saliamo sul palco e ci mettiamo a suonare senza dire niente.
Ma prendiamo un po’ per mano chi ci sta ascoltando, chi ha la voglia e la pazienza di stare lì ad ascoltarci e lo portiamo verso un percorso. Mandiamo in corto circuito il concetto di concerto. Attraverso il linguaggio e la parola lo portiamo verso il racconto e atmosfere dinamiche e emotive. Riusciamo così a coinvolgere più di quanto riusciremmo con una performance più classica. Lorenzo e Iacopo fanno parte di questa band in quanto Le Sigarette tanto che suoniamo anche un loro brano. Lorenzo in particolare è un musicista strepitoso: non solo è un batterista ma è uno che ha anche un pensiero intorno alla musica. Il suo sguardo è stato fondamentale nella scrittura e nell’arrangiamento dei brani. Determinate soluzioni se le è proprio inventate lui nonostante avessimo cominciato a suonare da pochissimo insieme.
Quali sono progetti per il futuro? Ormai sei sempre super impegnato tra la radio, i concerti e a produrre gli altri artisti, ma il Lucio Leoni cantautore lo stai trascurando?
Lucio Leoni artista, incredibilmente e nonostante i mille impegni, ogni tanto trova uno spazio. Mi capita molto raramente di avere dei momenti di solitudine a casa. Ma per una serie di incastri cosmici per qualche motivo ogni tanto mi ritrovo un paio di giorni solo. Torno a casa dal lavoro e sono solo. Incredibilmente in quei due giorni (che nell’arco degli ultimi 4 mesi sono stati una decina) ho scritto tantissimo. Ho scritto qualcosa come 37 pezzi, che poi non significa che siano 37 bei pezzi di musica. Significa che ho spurgato delle urgenze, delle necessità. Di quei 37 pezzi c’è la forte possibilità che una decina possano rivelarsi buoni e trasformarsi in qualcosa di futuribile.
Ma non mi sono dato un tempo. C’è che se scrivo, dopo che scrivo dei pezzi mi viene una voglia matta di provarli, provare a sentirli, provare a dargli un vestito per cui non c’è un tempo ma una gran curiosità di andare in sala e cominciare a lavorarli. Di sentirli con Lorenzo, Iacopo, Daniele ecc. Quindi succederà che prima o poi ci ritroveremo in studio a capire che succede.
Allarghiamo un po’ lo sguardo: qual è secondo te lo stato di salute della scena musicale italiana e romana in particolare?
C’è dello Yin e dello Yang nel presente momento storico!
Da una parte è tutto molto bello. Da 5 o 6 anni c’è un pubblico molto interessato che va a vedere i concerti. C’è tanto interesse verso la musica dal vivo, un interesse che quando io avevo venti-venticinque anni e suonavo in questa città era molto più difficile trovare.
C’è stato un momento di buco nero rispetto all’interesse per la musica live. Le generazioni un po’ più giovani della mia invece sono tornate ad avere un bisogno fortissimo del rito, dello stare insieme, dell’incontrarsi, abbracciarsi e cantare forte forte le canzoni. E’ una roba di rito sociale importante, che rimette in contatto con l’umanità.
Forse è emersa in conseguenza di tutti i fenomeni social e digitali. Nel senso che se la nostra generazione si incontrava in piazzetta, al muretto, loro invece si incontrano su piattaforme digitali. Rinasce allora l’esigenza di rincontrarsi veramente, cantare insieme dal vivo, che è uno dei riti orgiastici più belli!
La parte brutta è che dato che c’è questo interesse, questa risposta da parte del pubblico, ovviamente c’è un mercato. E se c’è un mercato c’è chi ci si butta a capofitto fottendosene un po’ di tutta una serie di analisi, della responsabilità che comporta questo mestiere. Cioè salire su un palco, mettersi dietro un microfono davanti a un pubblico, che siano 2 o sei mila persone, è una responsabilità. E questa responsabilità va trattata con cura. C’è modo e modo di portare il proprio messaggio. Ogni tanto escono fuori delle cose un po’ imbarazzanti che però fanno numeri incredibili. Non c’è giudizio ovviamente. Ognuno fa quello che gli pare: la musica di intrattenimento è sempre esistita e non per questo non deve continuare ad esistere. Però salire sul carro e basta, solo perché in questo momento c’è un pubblico ricettivo è un po’ vile.
Sono anche anni un po’ bui per mille motivi dal punto di vista sociale e politico quindi raccontare qualcosa alle persone che ascoltano potrebbe aver senso. Farsi i cazzi propri e puntare semplicemente a fare sold out per il gusto di fare sold out, per i soldi, è un peccato. Va valutato il fatto che questo mestiere comporta una responsabilità. il gesto artistico, l’atto artistico è intimamente legato al concetto di politica, non alla politica in senso stretto.
A proposito della musica live che ne pensi di questo festival e nella sua totale gratuità? Io quando ho intervistato per la prima volta gli organizzatori li ho presi per pazzi: tutto questo casino per non far pagare neanche una sottoscrizione… un po’ anacronistica come mossa no? Decisamente in controtendenza con la maggior parte dei festival italiani.
Lo trovo incredibile. La prima cosa che ho pensato anche io è stato: “siete completamente pazzi!”. Dopodiché la cosa che mi entusiasma di questo approccio è il fatto che ci sia proprio la voglia di rimettere in contatto il territorio con un posto reale e fisico (ndr: il parco del Forte Ardeatino) che spesso e volentieri viene abbandonato a se stesso. Un luogo che gli organizzatori di ArdeForte sentono molto dal punto di vista dell’appartenenza e che vogliono in qualche modo restituire. Dal punto di vista sociale, dal punto di vista di intelligenza politica inventarsi questa roba qua e farlo gratuitamente è avere uno sguardo lungimirante. E’ chiaro che una roba tosta però bisogna avere il coraggio di fare delle cose pericolose a questo punto. Non si può sempre aspettare che qualcosa ti torni indietro, ti gratifichi per forza economicamente. Bisogna lasciarsi gratificare anche dalla bellezza, dall’estetica, dalla sincerità, dal senso di appartenenza.
Le foto di Lucio Leoni in bianco e nero nell’articolo sono di Davide Canali
Le foto della gallery (a colori) sono di Giovanni di Giulio