C’erano un italiano, un’inglese e un americano… a Berlino. Oggi, invece, c’è il palco, gli strumenti e le loro personalità musicali ben intersecate.
Parliamo di Alright Gandhi, una band che non necessita e non vuole necessitare di una definizione sul genere, un po’ come la gag: “Come ti chiami?” – “Di solito mi chiamano gli altri”. Gli Alright Gandhi hanno inondato con la loro energia il lungomare di Crotone lo scorso mercoledì in occasione dell’ultimo evento previsto dalla rassegna Cookies.
Ad aprire lo scenario è il giovane cantautore crotonese Eliseo Chiarelli, di cui ben presto vi parleremo più approfonditamente.
Subito dopo esordiscono loro, Pietro, Rosa e Dominik. La prima cosa che vien da pensare, oltre che alla loro perfetta padronanza degli strumenti, è alla loro perfetta armonia.
Sembra paradossale come la loro diversità possa così simbioticamente risultare tutt’altro che anarchica e confusionaria e creare da subito un’atmosfera coinvolgente e spumeggiante.
Appare chiaro da fuori che non vi è nulla di preordinato e che quello che accade sul palco è evidentemente improvvisato: Pietro inizia a saltare mentre fa urlare la sua chitarra, Rosa, presa dal basso e dal testo allo stesso modo parte con uno jumping-singing, entrambi senza guardarsi e continua ad essere tutto sempre più soprendentemente dinamico.
Come nasce questa esplosione musicale chiamata Alright Gandhi? Tutto inizia dall’incontro a Berlino tra Pietro e Rosa, in una delle tante jam-session, tipica abitudine nelle “keller” di Berlino. Pietro suonava la sua chitarra completamente immerso nella musica, Rosa iniziava a cantarci su.
Qualche anno dopo il progetto musicale tra i due inizia a prendere forma, ma ben presto Pietro e Rosa ammettono la necessità di completare il suono con le percussioni.
Pietro, Rosa e Dominik ad oggi, dopo due dischi e diversi tour insieme, continuano a far collimare le loro diversità (musicali, culturali e caratteriali) e a renderle la loro peculiarità. Come un dipinto: Rosa la tela, Dom il pennello, Pietro il colore.
di Marta Paluccio foto Aurelien Facente