In un giovedì autunnale ed impegnativo dal punto di vista lavorativo per molti, il Covo Club ci porta uno dei concerti più alternativi e particolari del mese, quello di Alex Cameron.
Apre la serata e crea un’atmosfera intima la voce calda di Jack Ladder, che col suo fare struggente ci riporta in mezz’ora agli anni ottanta. Chiude cantando di attesa, quasi introducendo quello che ascolteremo dopo.
Non passano molti minuti che ecco salire sul palco la star della serata, Alex Cameron, accompagnato da una folta band.
La prima impressione, confermata durante il live, è che l’artista non tradisce le aspettative. Ovvero, l’immaginario di chi come me, non l’aveva mai visto dal vivo, ma solo “studiato” tramite la sua musica, i suoi video e le foto pubblicati sui social, utilizzati come mezzo importante per presentarsi e promuoversi.
Ciò che colpisce dunque, è la sua personalità eccentrica.
Una figura altissima che occupa il centro del palco, con un vestiario molto vintage ed anni 80 (un po’ come molti dei suoi pezzi). Canottiera bianca, collanina, camicia aperta, calzini total white e mocassini firmati Gucci, che cerca spesso con lo sguardo l’approvazione del pubblico con fare egocentrico.
Dal modo di presentarsi mi riporta ad un mix tra David Bowie e Alex Turner, di certo come inizio non c’è male.
Si parte con Bad for the boys, tratta dal nuovo album ed il pubblico si scalda immediatamente, dando il via ad una danza collettiva. La band colora e dà movimento ad ogni pezzo, la tastiera regala il vintage, il sax ed il basso aggiungono il groove.
La differenza di stile ed oserei dire di qualità tra i brani più “old” e quelli recenti si avverte nettamente, i primi con sonorità anni ottanta e retrò, gli altri più ballabili e ricchi dal punto di vista musicale e strumentale.
A.C., coi suoi movimenti “ingombranti” e danzerecci ci propone uno dopo l’altro pezzi come Gaslight, Miamy memory, quest’ultimo a detta di molti una delle migliori del suo 2019 e che dà il nome al suo ultimo lavoro, e poi brani più indie rock come Other ladies.
Non mancano poi le sorprese.
Roy Molly, sassofonista della band, fa prendere fiato allo show e concede un attimo di riposo alla faccia sudata e provata del cantante. Si esibisce in un monologo “cazzone” che diventa un dialogo divertente con il suo sgabello/sedia, messo al centro del palco per circa cinque minuti.
Descritto con aggettivi come “laccato”, “liscio” e “comodo”, viene accarezzato in maniera ironica e regala un siparietto comico, forse per il suo nonsense, forse per il volto buffo, forse per la verve artistica del musicista.
Mentre nelle prime file di una sala quasi piena scorgo dei volti nuovi ed inusuali al Covo, tra cui quelli di molti stranieri e molti affezionati alla sua musica, lo sketch spezza il live e gli dà ulteriore carica.
Sicuramente degno di nota e ricco di phatos è Stranger’s kiss, che vede duettare nella versione originale Alex Cameron ed Angel Olsen, e nella versione live sostituita dalla voce della chitarrista del gruppo.
Nonostante la bravura oggettiva di quest’ultima, chissà in quanti come me avrebbero voluto vedere la Olsen, fresca dell’ennesimo album bellissimo, (All mirrors, ottobre 2019) esibirsi ancora una volta su quel palco.
Sarà per la loro storica collaborazione, sarà per la bellezza del pezzo, che il pubblico esplode, canta e si lascia andare sulle note del brano, che risulta essere in maniera oggettiva il più apprezzato.
Uno degli ultimi pezzi è Far from born again, che alimenta il ballo e ci fa cantare in coro il suo motivetto che rimane in testa per tutta la sera e mi accompagna nel letto.
Forse nel complesso si ha la sensazione che manchi qualcosa per poterlo acclamare come grande nome. Quel che abbiamo ascoltato in un’ora e venti di concerto basta però per dire di aver passato una bella serata di musica e perché no, anche “sui generis”.
Non male, Alex.